Ogni tanto mi chiamano a parlare sul tema “Tecnologia e rapporti umani” e la conclusione finale che lascio su questo tema è la seguente: l’unica strada per continuare a usare questi strumenti in modo che non riducano la nostra esperienza di interazione personale è di vivere un’educazione che sviluppi in noi una preferenza per la realtà. La nostra curiosità e la nostra passione a scoprire e sperimentare la realtà come ci è data deve essere più forte della tentazione di cambiare la realtà per adattarla ai nostri impulsi, alle nostre paure o passioni, ai nostri pensieri. I sempre più potenti mezzi di cui costantemente disponiamo ci spingono ad iniziare con il domandarci come preferiremmo le cose fossero, piuttosto che con l’interesse a scoprirle come sono.
Nel proporre queste osservazioni al mio pubblico, sono spesso colpito da come la stessa dinamica sia al cuore dello scontro di visioni sulla natura umana in materia di “gender” e orientamento sessuale. Quello che potenti organizzazioni sociali e governative stanno proponendo e cercando di applicare sembra a volte del tutto lontano dalla realtà, la realtà del bambino, della famiglia, della natura stessa. Come è potuto accadere?
La risposta a questa domanda non è per me misteriosa. Sono cresciuto in circostanze speciali e in un momento speciale. La piccola città in cui viveva la mia famiglia si era riempita, a metà degli anni ’60, di hippy venuti nelle foreste della California del Nord per “tornare alla natura” e “mettersi in comunione con il dolce spirito dei pacifici emarginati”. Sono stati costoro che cominciarono, al di fuori del mondo accademico, ad avere una nuova visione dell’umanità. Veniva sentita in modo impellente la corruzione e lo stravolgimento ai quali era soggetta la natura pacifica dell’essere umano, causati da istituzioni della società che tentavano di modellare e obbligare la persona ad assumere ruoli e modalità aliene e contrarie alla sua vera natura. Il movimento femminista, molto forte tra di loro, in particolare sentiva che le donne erano state indotte dalla società ad assumere posizioni “subordinate” per adeguarsi alle norme sociali.
Il desiderio era di trovare la liberazione respingendo ogni norma e ruolo, liberando la persona che era sottostante e prima di tutte queste “etichette”, comprese etichette coercitive come “uomo” o “donna”, “maschio” o “femmina”, “marito” o “moglie” e perfino “padre” e “madre”. Il desiderio di una nuova realtà che sarebbe nata da loro stessi e da niente al di fuori di loro. Secondo la visione spirituale che accompagnava questo movimento, la realtà era qualcosa di soggettivo, qualcosa che si costituiva in quanto la si accettava. Lo stesso concetto di “essere umano” era artificiale. Questa fu la mia educazione. Negli anni ’70 cominciai a tenere discorsi sulla tolleranza degli omosessuali e sui loro diritti. Il fatto che da allora si siano potuti usare strumenti sempre più potenti per influenzare la realtà e sostituirla, in effetti, con una realtà virtuale, è conseguenza di una perfetta combinazione di ideologia e tecnologia.
Attraverso la mia conversione a Gesù Cristo, ho cominciato un lungo processo di revisione di questa concezione del mondo e a poco a poco la mia vita nella Chiesa mi ha liberato dalla paura della realtà, anche se continua ad essere per me una lotta. Ciò che è nato in me è la curiosità e la passione per la realtà come dono, come qualcosa che mi è stato dato, che mi è stato offerto per amore. E comprende il fatto che sono un essere umano, il fatto che sono un uomo e non una donna, il fatto che la vita umana viene alla luce e ancor più cresce attraverso l’unione di due diversità, maschio e femmina. I sacrifici che tutto questo può richiedere non sono contro di me, perché ho scoperto che voglio vivere e la vita è un dono che arriva attraverso questa sorprendente e paurosa cosa, la realtà.
Il punto è che la nuova moralità è nata dalla paura, dalla paura e dal rifiuto di cose che ci sono date, che non hanno la loro origine in noi. Qual è allora la nostra risposta? Può essere solo questa: approfondire la nostra esperienza della vita come dono, che arriva attraverso la realtà e, inoltre, dedicarci a liberare altri da questa paura. Come possiamo farlo? Prima di tutto, dobbiamo mostrare loro che non li temiamo, ma siamo lieti dell’opportunità di camminare con loro, facendo insieme piccole scoperte, una dopo l’altra, che ci dimostrano la bontà del dono.
Sia questa la strada da percorrere! Un abbraccio non timoroso anche a chi vuole prendere il nostro controllo a causa di questa paura. Se la realtà è un dono, allora anche queste persone sono, in qualche modo, un dono per noi.