Nel suo messaggio per la Giornata della Gioventù – che si celebrerà la Domenica delle Palme, ultima tappa in vista del ritrovo mondiale previsto a Cracovia il prossimo anno – papa Francesco ripete più volte questa frase: «Abbiate il coraggio di essere felici». Sembrerebbe che essere felici sia la cosa più ovviamente desiderata, più naturalmente innata, che va da sé. Lo stesso Francesco afferma con decisione: «Sì, cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito?». 



È vero, la sentiamo tutti questa sete. E allora, perché ci vien detto che occorre del «coraggio» per affermarla? Evidentemente questo significa che il desiderio della felicità ha davanti a sé degli ostacoli, che la sete può essere soffocata, il cuore che la sperimenta messo a tacere. 

Se solo ci pensiamo un poco, questi ostacoli li vediamo facilmente. Il più subdolo è pensare che in fondo la felicità è una esagerazione: meglio abbassare il tiro, accontentarsi. Lo si capisce bene quando si pensa alla felicità nel contesto dei rapporti umani, come fa il Papa commentando la sesta beatitudine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Nei rapporti interpersonali felicità sarebbe – dice il Papa – una luce che «permea di verità e trasparenza tutte le relazioni umane», uno stato di «purezza originale» in cui non esistono «maschere, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri», in cui «tutto è limpido e chiaro». Verrebbe da dire: non esageriamo! Forse è meglio, nelle nostre relazioni, cercare ben più modestamente di non farsi troppo male, di darsi una mano per quanto si può, di evitare coinvolgimenti che potrebbero deludere. Lasciamo pure ai giovani cui il vecchio Papa si rivolge di sognare il grande amore e l’amicizia pura: avranno tempo per disilludersi – come noi, «sperimentati» dalla vita – e di accorgersi che si trattava di una chimera.



Lo stesso processo riduttivo si può applicare alle altre sfaccettature del prisma della felicità. Ricerca del vero? Meglio mettersi d’accordo sulle opinioni. Del giusto? Illusorio: al massimo possiamo concordare delle regole. Del bello? De gustibus… Da qui a teorizzare esplicitamente che la felicità stessa, essendo appunto una chimera, è irragionevole, il passo è breve. La conclusione sarebbe che l’uomo non è fatto per la felicità. Se va bene, è fatto per godersela un po’, per tentare di stare tranquillo, per cavarsela.

Di fronte a questa voragine di dubbio, papa Francesco parla della necessità di una «ecologia umana», cioè di quella operazione che coraggiosamente si mette a guardare nel panorama del proprio cuore e, scorgendovi sorgenti inquinate, fumi mefitici, discariche puzzolenti, decide di mettersi all’opera per purificare il proprio personale ecosistema, per togliere dal cuore le placche di una sclerosi che lo stringe talmente che quasi non pulsa più.