Ad Oslo, sabato 21 febbraio, dei giovani musulmani hanno organizzato una manifestazione pacifica presso la locale sinagoga, in segno di solidarietà contro gli attentati del 14 e 15 febbraio a Copenaghen. Altre persone sopraggiunte sul luogo vi si sono unite: oltre un migliaio di persone ha quindi circondato l’edificio con una catena umana in segno di difesa e di protezione degli ebrei, mentre quest’ultimi, all’aria aperta, celebravano il rito dello shabbat. Le foto sono più che eloquenti. I giovani musulmani sono andati lì con i simboli della loro fede ed è dall’interno di questa loro appartenenza che hanno abbracciato gli ebrei, mentre quest’ultimi, a loro volta, esprimevano il massimo della loro identità religiosa, dando vita alla liturgia settimanale. Il dialogo non si è realizzato limando le differenze, ma scoprendo un terreno comune che abbraccia tutti, un senso religioso che accomuna tutti nell’umana tensione al Vero.
“Vogliamo dimostrare che siamo al fianco del popolo ebraico e che vogliamo proteggerli – ha detto ad un giornalista dell’agenzia France Presse, Atif Jamil, una ragazza del gruppo degli organizzatori – non vogliamo estremisti in Norvegia che pensano di poter fare quello che vogliono contro la gente comune…. L’idea è quella di dire ai terroristi ed estremisti che se vogliono ferire i nostri fratelli e sorelle devono prima passare attraverso di noi, vogliamo proteggerli”.
Proteggere gli ebrei, proteggere chi è aggredito: sono parole che da lungo tempo tutti desideriamo udire. È la solidarietà dell’umano, l’istinto buono a intervenire ed a difendere chi è minacciato. Ritornano alla superficie le parole del Papa, “fermare l’aggressore ingiusto” con tutti i mezzi che si rendono necessari: ad Oslo ci ricordano come, tra tutti i mezzi necessari, c’è anche il gesto simbolico, quello che rinvia a qualcosa che si fa capire da tutti, perché tutti ne percepiamo immediatamente l’incalcolabile portata.
Dinanzi ad una guerra come questa, tutta giocata sul fronte mediatico e simbolico, si è così prodotta ad Oslo una risposta destinata a fare il giro del mondo: i musulmani che difendono gli ebrei in preghiera è la risposta più radicale e la replica più efficace sul piano mediatico ai messaggi deliranti dell’Isis. Sono momenti nei quali i gesti, cioè i fatti concretamente visibili e densi di significato, replicano sul fronte mediatico ai video sanguinari e umanamente osceni che i miliziani dell’Isis rovesciano sulla rete.
Ma nella risposta pensata e voluta dai giovani musulmani di Oslo c’è anche qualcosa di antico, di originario: il gesto di proteggere chi prega, proteggerlo con il proprio corpo, tenendosi per mano. Mi pare la sintesi più qualificata di quella che si può chiamare una civiltà condivisa del comune senso religioso.
Risuonano nella mente le parole di Péguy “tutti i fedeli delle antiche credenze, tutti i fedeli e tutti i santi delle antiche religioni, tutti gli uomini di tutte le vite più antiche … sono diventati senza smarrirsi, i cittadini della città armoniosa”. È la città armoniosa che si fonda sul principio della sacralità della vita di ciascuno, dell’unicità e della non ripetibilità della persona umana, quella che i ragazzi di Oslo, musulmani, ebrei e cattolici, esattamente come poco più di un mese fa, i tre milioni di cittadini a Parigi, hanno di fatto prefigurato.
Questa civiltà è il nostro cuore, la nostra base, il nostro lievito. Non è la società delle segmentazioni, dei recinti autoreferenziali, delle autosegregazioni realizzate nel disprezzo implicito dell’altro, ma è quella che, nel momento in cui si attenta anche ad una sola vita, reagisce sentendosi immediatamente chiamata in causa, in quanto (ed è ancora Péguy): “un solo crimine è sufficiente a rompere il contratto sociale, una sola soperchieria, un solo disonore basta a perdere l’onore, a disonorare un popolo intero”.
Il terrorismo fondamentalista sta attentando alla vita di persone colpevoli solo di esistere, ma proprio per questo solo l’abbraccio di Oslo lo può sconfiggere, solo il recupero della matrice originaria del comune affetto per l’altro, da proteggere e custodire, costituisce la più autentica e radicale opposizione al delirio dell’Isis, un’opposizione che non è più solo protesta, ma è già recupero di un mondo nuovo.