Da qualche tempo, dietro le grandi opere, dietro il sistema degli appalti che regolano la competizione tra le aziende, emergono, con mesta regolarità, tangenti e prebende di diverso genere. Sono veri e propri fiumi di denaro che fanno lievitare i costi di ogni opera, aggravando ancora di più la già precaria spesa pubblica. Le vicende non costituiscono una novità e puntualmente l’attenzione dell’opinione pubblica e dei partiti è tesa ad individuare le responsabilità di figure con responsabilità politiche, siano esse di governo o di opposizione. In ogni caso la notizia sembra sempre risiedere nella presenza del politico di turno, magari anche semplice assessore comunale, l’importante è che abbia colori di partito ben definibili. Questo atteggiamento è in realtà paradossale, come se la corruzione fosse meno grave se ad esercitarla, anziché i politici, fossero invece degli sconosciuti funzionari che vivono tra le pieghe del sistema: mai eletti da nessuno e politicamente non responsabili di nulla.
In realtà sono invece proprio quest’ultimi ad essere sempre più presenti negli scandali degli ultimi mesi. Infatti, a differenza del passato, al posto dei politici tra i protagonisti degli episodi di corruzione, sembrano emergere — il condizionale è d’obbligo — proprio gli amministratori, gli alti funzionari, i tecnici qualificati. Dal Mose di Venezia alla Camera di Commercio di Palermo, al Comune di Roma, al ministero delle Infrastrutture le fila delle tangenti sembrano essere nelle mani di insospettabili funzionari, tecnici valenti, amministratori di prestigio. Pertanto e a dispetto del luogo comune, il tradizionale sistema di spartizioni, quello conosciuto negli anni settanta e ottanta e portato alla luce dalle indagini di “tangentopoli”, non sembra più occupare il proscenio. Al posto di questo sembrano affermarsi delle vere e proprie piraterie organizzate, veri e propri gruppi autoreferenziali che non rispondono che a loro stessi.
Ne consegue che qui non è tanto il sistema di finanziamento dei partiti e dei singoli politici ad essere nell’occhio del ciclone, quanto la più prosaica tracotanza delle rendite di posizione occupate da chi opera nelle pieghe del sistema burocratico, dove l’autonomia discrezionale di pareri e valutazioni è immediatamente monetizzata in richieste compensative di ogni genere. Si tratta di un universo di funzionari e impiegati di ogni ordine e grado che coesiste ai sistemi decisionali, non gli è affatto estraneo. Non sono dei carrieristi provenienti dalle arene elettorali, vincitori di competizioni pubbliche con tanto di nome e bandiera, ma delle eminenze interne, operanti nel cuore degli apparati amministrativi. Illustri personalità, sconosciute ai più, ma oltremodo note agli addetti ai lavori.
Qualsiasi analisi non meramente retorica del problema della corruzione dovrebbe partire proprio dall’individuazione dei ruoli decisionali esistenti dentro qualsiasi amministrazione e dalle anomalie concernenti chi li occupa. La prima di queste è data dalla straordinaria longevità degli incarichi, attribuiti per periodi di durata potenzialmente illimitata.
A questa si accompagna l’assenza o la verosimile inefficacia dei sistemi di controllo delle decisioni prese. Su tutto domina spesso l’inefficienza congenita strutturale: vero e proprio lasciapassare per il ricorso ai circuiti alternativi ed alle corsie preferenziali. Esiste così un problema di mancato funzionamento di alcune regole elementari che dovrebbero essere applicate mentre invece non lo sono mai.
Non è senza ragioni che la corruzione attuale si produce oggi più al di fuori degli apparati di partito che non all’interno di questi e viene portata avanti più da anonimi funzionari che da politici costantemente esposti al giudizio dell’opinione pubblica. Probabilmente non ci siamo abbastanza resi conto di quanto il declino delle istituzioni abbia logorato queste aree interne al sistema amministrativo, lasciando affiorare opportunismi e devianze dal ruolo. Se le democrazie hanno nella corruzione il loro nemico mortale, la loro debolezza congenita, questa ha tante più possibilità di svilupparsi quanto più può contare sulla presenza di aree di potere anonimo e discreto. Questo potere, tenutosi in disparte dai conflitti elettorali e attento alle relazioni con tutti i partiti e tutti i ministri di passaggio, è quello che più di tutti è tentato dall’uso del ruolo pubblico come occasione, unica e irripetibile, di arricchimento privato.