Due principi scomodi

L’adozione di bambini da parte di coppie gay implica la necessità di sbarazzarsi di due principi, di due assiomi dati fino ad oggi per evidenti. L'editoriale di SALVATORE ABBRUZZESE

L’adozione di bambini da parte di coppie gay implica la necessità di sbarazzarsi di due principi, di due assiomi dati fino ad oggi per evidenti.

Il primo assioma è costituito dalla necessità, per il bambino adottato, di avere per genitori adottivi un uomo e una donna. Se si accetta l’adozione di bambini da parte di coppie gay occorre negare che uomo e donna siano da considerare come due dati naturali (quindi necessari) per essere invece delle semplici costruzioni culturali, quindi storiche, quindi rivedibili, quindi superabili.

Alla luce di questa negazione il fatto che siamo nati tutti da un padre e da una madre sarebbe sostanzialmente falso. Di fatto saremmo nati solo da due condizioni biologiche dell’esistenza (il maschile e il femminile) che non direbbero nulla circa il legame con i due generi dell’uomo e della donna così come gli abbiamo conosciuti attraverso la nostra cultura. La condizione biologica paterna e quella materna potrebbero essere sostenute indipendentemente dal genere: una donna potrebbe ricoprire adeguatamente la dimensione della paternità così come un uomo potrebbe fare altrettanto con quella della maternità. Gli elementi necessari per natura non deciderebbero minimamente circa i generi necessari per cultura. Maschile e femminile, indispensabili al momento della fecondazione biologica, non implicherebbero affatto la loro trasposizione meccanica nei due generi dell’uomo e della donna al momento della crescita e dell’educazione. Ciascuno dei due generi potrebbe scegliere il maschile o il femminile in base ad un atto consapevole del quale sarebbe responsabile.

Il secondo assioma che si deve eliminare è costituito dal vincolo che il soggetto detiene rispetto al proprio sesso naturale. Quest’ultimo non costituirebbe più un’evidenza che questi deve riconoscere, ma una contingenza che può superare. Il genere dato per natura sarebbe superato da quello scelto per percezione interiore. Per di più la situazione sessuale, il sesso acquisito biologicamente, non sarebbe decisivo rispetto ai doveri di genere che in ogni società vengono accreditati al maschile e al femminile. Questi doveri, questi compiti, non avrebbero nulla di naturale ma sarebbero storicamente definiti dai contesti sociali, sarebbero quindi oggettivamente ascrivibili all’uno o all’altro “sesso percepito” senza nessuna conseguenza circa la loro capacità effettiva di realizzazione.

Si potrebbe dire molto sulla fragilità di entrambe queste eliminazioni. Ciascuno può comunque prendere posizione. Ciascuno può comunque decidere se maschile e femminile non siano più essenziali per crescere ed educare un bambino ma restino collegati alla sola “meccanica della fecondazione” e non sfociano affatto meccanicamente e direttamente nei generi di uomo e donna. Allo stesso modo ciascuno può decidere se la propria dimensione sessuale sia quella che viene da lui intuita e scoperta e non quella che gli viene invece manifestata dalla sua natura fisica. 

Il problema fondamentale di entrambe le eliminazioni dei principi appena detti risiede nell’esito che presentano. Entrambe infatti non costituiscono solo delle antropologie, delle concezioni dell’uomo e della donna che, in fondo, riguardano solo le vite private dei singoli, ma entrambe, nel caso dell’adozione, concernono un terzo. Un terzo che non c’è, ma che dovrà avere a che fare con ciò che noi oggi, più o meno coscientemente, stiamo avvalorando o tollerando: la possibilità di essere adottato, quando non addirittura voluto attraverso l’utero in affitto o la fecondazione eterologa, da una coppia di uomini o di donne convinti sia che non c’è bisogno della presenza di entrambi i generi per crescere un bambino, sia che il genere percepito, ciò che costoro si sentono di essere, prevalga su ciò che essi sono per natura.

Sarà il bambino non ancora nato o che ha perso i genitori o che è stato da questi abbandonato che sarà chiamato a sopportare il peso di queste scelte. In caso di errore, nel caso che la tesi dell’indipendenza del maschile e del femminile dal sesso di chi lo esercita, assieme a quella della priorità del genere scelto rispetto a quello consegnato dalla natura, si rivelassero due formidabili sciocchezze (non sarebbe la prima volta che colossali scempiaggini siano sostenute sul piano scientifico, l’ultima è stata quella del primato della razza ariana), sarà lui e solamente lui a pagarne le conseguenze sul piano psichico. Conseguenze che, come tutti sanno, si svilupperanno solo dopo diversi anni dall’adozione.

In pratica, caro Renzi e cari compagni di strada, stiamo scegliendo per gli altri. La questione non è di diritto privato, non concerne la vita privata del singolo, non si tratta di stabilire se questi abbia o no il diritto di fare ciò che vuole, ma riguarda dei terzi, che non hanno voce o che non sono ancora nati. Stiamo decidendo sulla loro pelle. Si chiede troppo se si ritiene che il principio di precauzione, quando non addirittura la semplice prudenza dovrebbero essere già sufficienti a far cessare quest’ultima follia della società post-moderna, così euforicamente irresponsabile da un lato e superficialmente indifferente dall’altro?

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