Si ripete spesso che i giovani non hanno futuro; che la presente crisi, pur destinata ad essere superata, ha lasciato nel limbo occupazionale una generazione intera; che l’inserimento ritardato sul mercato del lavoro significherà quasi certamente un inserimento altrettanto dilazionato nella vita adulta, quella che è fondata sull’autonomia economica e sulla possibilità di generare un proprio percorso personale. Si tratta certamente di constatazioni realistiche, giustificate da dati di fatto. Ma il problema non risiede nella loro veridicità o meno, bensì sulla loro completezza.
Non si tratta infatti di mitigare l’intensità della crisi presente, né di mostrare le alternative che pure, altrettanto realisticamente, si aprono. Si tratta invece di restituire il quadro completo delle esigenze reali che caratterizzano le generazioni successive alla nostra. I giovani hanno infatti bisogno anche del lavoro, ma non solo di questo. Accanto al lavoro esistono i progetti di vita, le prospettive di azione e di realizzazione di sé per le quali il lavoro acquista senso e adempie alla sua funzione essenziale di supporto, quando non addirittura di strumento immediatamente operativo di realizzazione.
Senza una tale dimensione progettuale, la ricerca del lavoro finisce per prodursi in un deserto esistenziale, riducendosi alla semplice richiesta di una posizione lavorativa come unica domanda possibile, come se questa potesse poi bastare, da sola, a sostenere e dirigere un’intera esistenza.
Si può allora dire che la prospettiva di una vita “in abbondanza”, il progetto di vita felice precede la richiesta del lavoro, e lo precede in quanto gli è assolutamente essenziale per definire e valorizzare quest’ultimo. Gli è essenziale per vivere. Il singolo progetto di vita non è scritto su di un immaginario libro delle opportunità sociali, ma è testimoniato concretamente da chi lo vive, da chi lo ha già realizzato. La società, ogni società, non è solo una rete di opportunità, più o meno articolate, di progetti di vita (professionali, affettivi, generativi) ma è soprattutto una realtà di testimoni che li hanno fatti propri e che, proprio per questo, finiscono con il costituire altrettanti punti di riferimento, altrettanti ponti tra il semplice immaginare ed il concreto vedere.
C’è allora bisogno di adulti che siano testimoni consapevoli del progetto di vita che hanno portato avanti e che siano in grado di presentarlo e di tematizzarlo. Occorre la testimonianza di chi riconosca la propria vita come un percorso che è cresciuto e maturato con gli anni. Prima del lavoro, prima ancora di qualsiasi lavoro, quanti lo cercano hanno necessità di definire il progetto di vita, la direzione da intraprendere, ma per farlo hanno bisogno del legame concreto con questi testimoni, che coincide poi con il mondo stesso dei padri che sono in grado di testimoniare la ricchezza umana e sociale di ciò che hanno edificato.
Ma noi adulti siamo veramente in grado di farlo?
Vissuti negli abbacinanti e contraddittori anni sessanta, convinti di quello che allora si chiamava il “conflitto generazionale” siamo stati così a lungo edotti all’idea di una separazione totale dalla generazione dei nostri padri che non abbiamo affatto appreso ad essere testimoni di un progetto di vita, di affermare un’esistenza felice che vale la pena vivere. L’opposizione che spesso abbiamo a lungo imbastito con i nostri genitori, recuperata per alcuni solo dopo diversi anni, ha finito con l’occultare il ruolo di testimoni di un percorso di vita che questi vivevano.
Lo spirito del mondo moderno, operando per una svalutazione implicita del passato, di fatto sempre e comunque “superato” dal presente, ci ha così convinto circa l’inutilizzabilità di ogni esperienza trascorsa che, spesso, siamo stati indotti a non richiederne nemmeno la testimonianza, e quindi, proprio per questo, oggi non abbiamo affatto la coscienza di doverla dare.
C’è quindi qualcosa di peggio del non trovare lavoro, ed è costituito dall’assenza di testimoni di un progetto di vita degno di essere praticato; un progetto che dovrebbe sorreggere la stessa ricerca di un’occupazione e talvolta addirittura ad orientarla. Peggio del lavoro non trovato o del lavoro parziale, è l’assenza di una presenza intelligente, di una relazione capace di fare compagnia, con tutto il peso della propria esperienza consapevole.
La possibilità per i giovani di trovare il lavoro, dipenderà molto dalle opportunità del mercato, ma l’essere testimoni di un percorso di vita, stando accanto a coloro che lo cercano, dipende solo da noi, e possiamo farlo subito.