L’omelia che papa Francesco ha fatto lo scorso 2 aprile, Giovedì Santo, nella basilica di San Pietro, era rivolta ai sacerdoti. Eppure credo che contenga delle riflessioni importanti per ogni cristiano; anzi per ogni uomo. Sorprendentemente il Santo Padre ha concentrato le sue riflessioni sul tema della stanchezza. E chi non se ne sente coinvolto? Tutti trascorriamo periodi in cui le energie vengono meno, quello che fino ad allora facevamo con facilità ci appare come un ostacolo insormontabile, ci sembra di non farcela più ad andare avanti. Per di più la primavera acuisce questi stati di spossatezza; ho in mente una pubblicità che – per promuovere non so quale medicinale ricostituente – chiede: «Stanco di essere stanco?» o quell’altra che – per lo stesso motivo – mette in scena una ragazza che si trascina una sedia per abbandonarvisi, in preda allo sfinimento, in attesa del semaforo verde.



Innanzitutto papa Francesco suggerisce di non aver paura della stanchezza. Già questo è un atteggiamento non scontato: ci ricorda che è falso pensare che il nostro valore coincida con la capacità di produrre performance sempre al top. È sano ammettere il limite che uno stato di affaticamento evidenzia. Tanto per far capire che non si tratta di una predica generica, il Pontefice ha detto che a queste cose lui pensa di frequente «specialmente quando ad essere stanco sono io». Ovviamente molti giornali ci hanno ricamato illazioni sul suo stato di salute e sulla durata del pontificato, mentre si tratta della normale concretezza di uno che volendo offrire un insegnamento ad altri prende spunto dalla propria esperienza.



Papa Francesco dice che ci sono tre tipi di stanchezza. La prima è quella che viene dal contino contatto con gli altri, le loro esigenze e pretese o semplicemente la loro diversità. La seconda è prodotta dai «nemici» ed in questa definizione possiamo includere tutti coloro che sentiamo ostili al nostro cammino: dal capufficio a chi ci taglia la strada, da chi ci contesta in una discussione ad uno che credevamo amico ed invece ci sta fregando. Questi due tipi di stanchezza – dice Francesco – sono «buone». Affermazione coraggiosa, che si comprende solo pensando a quanto il Papa aggiunge poco dopo: «Solo l’amore dà riposo». Come dire che è vero che i rapporti possono essere sorgente di fatica e di logoramento, ma se essi hanno una ragione adeguata – amore, appunto – è una stanchezza che si accetta e si supera proprio approfondendo i motivi cui quel rapporto vive; anzi la difficoltà stessa invita a tale approfondimento. 



Quando si è visto qualcuno che, devastato dalla stanchezza, pure ti guarda con tenerezza e passione, magari impotente a fare per te qualsiasi cosa, si capisce di cosa stiamo parlando.

Il terzo tipo di stanchezza, invece, è «pericoloso» o addirittura «cattivo»: la stanchezza di se stessi. Il motivo della sua pericolosità è descritto dal Papa con un termine che usa spesso: autoreferenzialità. Mentre le prime due stanchezze derivano da un uscire da se stessi – da un decentrarsi, potremmo dire usando un altro termine caro al Papa – questa è prodotta un ripiegamento individualistico e a sua volta lo incrementa. E quando si resta soli – soli come concezione di sé – non si può riposare: si è sempre più stanchi.