Obama ha sbagliato molto in politica estera. E non occorre guardare al Medio Oriente per vedere le conseguenze dei suoi errori. Eppure ci sono casi, come l’Iran, o ancor meglio Cuba, in cui ha fatto bene, infrangendo quella sorta di “regola” per cui i presidenti liberali non riescono a combinarne una giusta.
L’Obama migliore è quello pragmatico. E nella sessione plenaria che ha concluso il settimo Vertice delle Americhe, tenutosi a Panama lo scorso fine settimana, il Presidente Usa ha invocato questo pragmatismo davanti a Raul Castro, che continuava a rivendicare la rivoluzione castrista. Obama ha assicurato che il suo Paese non si sente minacciato da Cuba e che non pretende di cambiare il suo regime politico. Prima aveva cercato di incontrare i membri dell’opposizione e davanti allo stesso Castro ha parlato di diritti umani. Sbaglia Jeb Bush quando dice che il suo Presidente ha legittimato un dittatore. I repubblicani sbagliano ad accettare le tesi più dure degli esuli di Miami, che in questo momento sono divisi, visto che molti ritengono che la politica “dura” degli ultimi anni non ha prodotto risultati.
Quella di Obama è semplicemente realpolitik, dopo oltre 50 anni di embargo e isolamento che hanno punito il popolo cubano offrendo anche pretesti ai fratelli Castro per cercare una giustificazione al loro potere. Sappiamo della conversazione che Obama ha avuto con il Papa e che una delle cose importanti nel cambiamento della politica Usa è stata richiesta da Francesco: la fine dell’embargo. Arrivarci non sarà semplice, perché occorre il voto di Congresso e Senato e la riapertura delle relazioni non significa che la democrazia tornerà automaticamente a Cuba. Certamente aiuterà però coloro che da decenni lavorano affinché ciò sia possibile.
Va anche detto che non è certo che questo gesto implichi un cambiamento della politica degli Stati Uniti verso l’America Latina. In realtà, la Casa Bianca ha una politica per il Centroamerica, il Messico, i Caraibi, ma per il resto del Sud America c’è poco interesse.
In ogni caso la svolta verso Cuba ha cominciato a dare buoni risultati, come l’isolamento del Venezuela. Le sanzioni americane verso Caracas approvate circa un mese fa avevano suscitato una certa “solidarietà” di alcuni paesi latinoamericani. Il silenzio delle varie organizzazioni transnazionali latinoamericane riguardo gli abusi di Maduro è stata finora clamorosa. Ma quanto accaduto ora con Cuba ha fatto scendere gli abituali toni antiamericani e il Presidente venezuelano ha persino stretto la mano a Obama, dicendo che è disposto ad avviare un dialogo con il demonio a stelle e strisce. Potrebbe essere la fine definitivo dell'”asse bolivariano”, la rete di alleanze creata da Hugo Chávez e mantenuta da Maduro.
Evo Morales, che sembrava uno degli assi portanti dell’indigenismo populista, continua a fare politiche sociali di sinistra, ma in economia la Bolivia è assolutamente “ortodossa”. Rafael Correa, anche se continua con il suo discorso anti-imperialista in Ecuador, esplora nuove vie. Dilma Rousseff, che non è mai voluta essere bolivariana, ma che voleva mantenere alta la bandiera di una sinistra sociale in Brasile, ora comincia a voler applicare politiche di tagli.
Il realismo pragmatico in politica, se si guarda davvero al bene del popolo, non è una male. Specialmente quando si ha Francesco come consulente. Viva Cuba! Viva Obama (in questo caso)!