L’idea che la volontà del singolo possa essere condizionata da elementi esterni, non decisi da lui, ha costruito per anni il successo del “sociologismo” come moda culturale. Il fatto che la società, condizionando il singolo, lo esenti di fatto da qualsiasi responsabilità, rende infatti legittima tanto la sua assoluzione quanto la sua ribellione verso norme e principi che, così si dice, non sono altro che il risultato di una tradizione culturale, di una contingenza storica.
Ci sono voluti decenni per recuperare principi che restituiscano il soggetto alle proprie responsabilità, così come c’è voluto un tempo analogo per restituire i valori sociali ai principi ragionevoli che li fondano. E tanto la prima quanto la seconda revisione non hanno mancato e non mancano di critici che vorrebbero far prevalere il paradigma opposto, quello del “condizionamento sociale”.
L’idea recentemente presentata da uno psichiatra, Richard Balon, all’ultimo congresso dell’Associazione europea di psichiatria è, questa volta di matrice genetica e presuppone che la fedeltà e l’infedeltà siano l’esito di una semplice presenza/assenza di geni. Così facendo si riporta alla ribalta la vecchia ipotesi di un soggetto determinato, quindi irrimediabilmente condizionato. Solo che questa volta, anziché la società, sarebbe il proprio patrimonio genetico a tenerlo in scacco.
Si tratta ancora di una semplice ipotesi, ma gode già del vento in poppa del pensiero unico. C’è da scommettere che tra pochi mesi diventerà un dogma indiscusso. Questione di dopamina e di ossitocina — così pare — alla base di ogni infedeltà, ma anche di ogni atteggiamento di difesa dell’unione stipulata. In pratica chi tradisce non avrebbe colpa, ma anche chi è fedele non avrebbe meriti.
Gli psichiatri invitano a prendere l’ipotesi con cautela. Per di più i geni non sono tutto, infatti l’eventuale predisposizione genetica “si combina sempre con fattori di tipo culturale, religioso e ambientale; i geni, cioè, non possono ‘lavorare’ in autonomia e senza che si determini un’influenza da parte di altri fattori”. Quanto queste cautele verranno mantenute nei prossimi mesi è tutto da vedere, tanto l’idea di una nuova ondata di de-responsabilizzazione appare gradita.
Per millenni il desiderio ha messo alla prova chiunque. La lontananza, l’attesa, lo sconforto, esattamente come la promessa, il patto, la gioia, il “sigillo sul cuore” hanno alimentato le migliori opere letterarie di ogni epoca, così come hanno potentemente contribuito a fondare unioni, sancire legami, formulare e mantenere promesse.
Quasi sempre sociologi e genetisti si sono dimenticati come tutto questo si sia realizzato non in omaggio, bensì a dispetto dei fattori culturali e ambientali, che suggerivano invece legami strumentali con altre persone, portatrici di più utili convenienze e proprio per questo gradite alla famiglia. Quasi sempre si dimenticano come un simile processo si sia realizzato anche a dispetto degli istinti, che proponevano senza sosta nuove attrattive e contro i quali il soggetto si premuniva con tutte le sue forze, ricorrendo ad ogni forma di resistenza.
Per millenni le volontà di unione, le fedeltà da voler mantenere e difendere, si sono sempre imposte tanto sulle convenzioni come sugli istinti: l’amore per l’altro è andato sempre, per definizione, contro i contesti, le consuetudini, le convenzioni, le insorgenze momentanee delle pulsioni. Ed è stata proprio questa sua capacità di sfidare ogni cosa, anche i propri istinti, magari facendosi legare all’albero maestro della nave, come ci insegna l’astuto Ulisse all’alba della civiltà occidentale, a definirne la forza.
Scoprire che la tentazione dell’infedeltà, così come l’attitudine opposta alla dedizione provengono entrambe dai geni anziché dal contesto sociale libertino non toglie nulla al problema di sempre. Quello di cercare e trovare le ragioni che portano a credere, a difendere ciò che si è costruito. L’amore e quindi la fedeltà sono sempre andati contro le convenzioni sociali così come si sono sempre opposti alle pulsioni della propria libido. La natura umana non è il codice dell’uomo, questi la supera e la oltrepassa, ponendola ogni volta in scacco. Proprio per questo la distanza dell’essere umano dagli altri animali è infinita. Contro ogni moda culturale, a dispetto dei propri quantitativi di dopamina e di ossitocina, è la volontà di cui il singolo dà prova che ne misura la statura morale, il carattere, la solidità umana.