La settimana scorsa ci sono stati vertici e riunioni tra ministri degli Esteri e degli Interni e Capi di Stato europei. Tanta sollecitudine ha portato però a scarsi risultati. Gli incontri erano stati convocati per affrontare la nuova emergenza dell’immigrazione, dopo la morte di 1.000 persone nel Mediterraneo. Alla fine i leader europei hanno fatto orecchie da mercante rispetto alle richieste dell’Italia e di molti organismi internazionali.
È stata aumentata la dotazione economica dell’operazione Triton, ma il problema non è solo la mancanza di risorse. L’Ue, infatti, rifiuta di cambiare il mandato dell’operazione che appartiene a Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, che trae in salvo i migranti dall’acqua perché lo stabilisce il diritto del mare e non perché abbia il compito di salvare qualcuno.
La mancanza di una politica comune dell’immigrazione è un chiaro sintomo della debolezza ideale dell’Unione europea. Il Regno Unito è disposto a mettere più risorse per il controllo delle frontiere, a patto che chi arriva non rimanga. Cameron si mostra duro per non perdere consensi di fronte agli xenofobi dell’Ukip. I paesi del Sud chiedono, giustamente, aiuti a quelli del Nord per rispondere all’avanzata di coloro che fuggono dalla guerra. E i paesi del Nord, in particolare la Germania, si lamentano, anche a ragione, del fatto che quelli del Sud non limitano abbastanza la concessione dell’asilo politico.
La crisi dell’immigrazione è in gran parte dovuta a ragioni politiche. Molti di coloro che arrivano sono in fuga dalla Libia, un vero e proprio Stato fallito che, dopo l’intervento europeo, ha visto peggiorare le condizioni di vita. Lo jihadismo spinge verso l’Europa iracheni e siriani. Il numero totale di richiedenti asilo ammonta a circa 626.000 in tutta l’Unione europea. Quest’anno possono aggiungersene oltre 130.000. Sono molti? Ricordiamoci che siamo circa 500 milioni di europei…
I 28 paesi membri dell’Ue sono caratterizzati da una politica molto restrittiva per la concessione dell’asilo. Nel bozza in discussione al Consiglio europeo di giovedì scorso si prevedeva l’impegno a concedere tale status a 10.000 persone. Ma il dato non compare nel documento finale. L’asilo è disciplinato dal regolamento Dublino II, che dà a ogni Stato il potere di prendere la decisione finale. Questo ha causato una sorta di competizione nel respingere le domande e l’Europa è diventata una vera e propria fortezza per gli stranieri che hanno lasciato il loro Paese a causa della guerra o per motivi politici.
C’è una percezione diffusa che l’Europa possa scoppiare se accoglie così tante persone. Ma quest’idea è sbagliata. Il Libano, per esempio, con una popolazione di 5 milioni di persone e molte meno risorse accoglie in questo momento 1,5 milioni di rifugiati. Non è una situazione desiderabile, ma in Europa le proporzioni sono molto più basse. L’Ue rifiuta i rifugiati per due ragioni: perché non ha una politica comune sull’immigrazione e perché la sua crisi di identità le fa guardare con paura chi è diverso.
Non è quindi solo un problema economico. Si tratta dell’insicurezza di chi non sa chi è. Con la volontà politica e un progetto comune si può affrontare questa situazione. Si tratta di una crisi che richiede, ovviamente, un serio intervento nel Maghreb e in Africa sub-sahariana. Non come quello che è stato fatto in Libia. Anche le conseguenze economiche dei flussi migratori possono essere regolate. Come si vede in Spagna, lo straniero non mette in pericolo il sistema di welfare. Quando è regolarizzato, diventa un collaboratore in più in un continente che invecchia. La questione non è semplice. Richiede soprattutto un progetto di vita in comune che consenta l’integrazione nella diversità.
L’Europa è stata costruita sulle macerie di due guerre, quando gran parte del continente era diventato un campo profughi. E sapeva chi era. Così com’è oggi, chiusa in se stessa, senza una propria personalità, non ha futuro.