Ci siamo. Oggi primo maggio si inaugura la tanto attesa Esposizione Universale di Milano. Inutile in questa sede riprendere le mille polemiche che hanno accompagnato Expo 2015: a questo punto Expo c’è ed è meglio per tutti che sia un’occasione accolta piuttosto che sprecata. Ma questo è il punto: quale occasione potrebbe essere? Ci si può accontentare del numero dei visitatori e che la quantità dei loro consumi ripaghi gli investimenti?



Pochi giorni fa alla presenza del Commissario di Expo Giuseppe Sala e del sindaco di Milano Giuliano Pisapia è stata inaugurata la nuova Darsena, punto terminale di un sistema di comunicazione fluviale artificiale, che risale al XII secolo, fondamentale per lo sviluppo del territorio. Sala ha definito questa opera di sistemazione “un regalo doveroso che Expo fa a Milano”. A sua volta, Pisapia ha aggiunto: “Quello che è stato luogo di cultura, con Jannacci e Gaber che venivano qui per scrivere le loro canzoni, sarà sempre più luogo di incontro”. Un richiamo a tutti sul fatto che Milano non è un semplice contenitore di Expo e anzi, che ha qualcosa da offrire al mondo, aggiungiamo, più che le mastodontiche Shangai e Dubai. E non parliamo dell’enorme contributo religioso, storico, culturale, artistico, economico, scientifico alla vita del pianeta, ma proprio del suo potenziale apporto al tema di Expo: nutrire il pianeta.



La sfida che il mondo ha davanti a sé per i prossimi decenni è quella di riuscire a sfamare, e sfamare in modo sano, nove miliardi e mezzo di persone (tanti sono gli abitanti della terra stimati nel 2050), senza distruggere l’ambiente. Cosa può offrire allora la “piccola” Italia a tutto il mondo?

Il nostro non è più un Paese agricolo, e le nostre produzioni si stanno orientando sempre più verso nicchie, ma Milano e l’Italia rappresentano un luogo privilegiato, essendosi qui realizzate esperienze di grande valore, in termini di rapporto con il cibo, i cui principi possono essere la chiave per affrontare la sfida della modernità in questo ambito.



Il nostro è un territorio antropizzato da millenni, ma dove l’ambiente naturale si è conservato. Non una natura primigenia, ma resa utile all’uomo e nello stesso tempo rispettata. A partire dalle prime innovazioni dei monaci del IX secolo, la pianura Padana, ad esempio, è diventata una delle aree più fertili del pianeta e le diverse coltivazioni hanno plasmato la bellezza del suo paesaggio.

In ogni angolo d’Italia, grazie ad una grande capacità di trasformare, sia industrialmente che artigianalmente, le materie agricole, vengono creati prodotti genuini e nello stesso tempo sicuri e competitivi a livello mondiale. Una cucina originale, capace di valorizzare al meglio tutti gli ingredienti, anche quelli poveri, è alla radice di prodotti che stanno conquistando il mondo. 

Il modo di mangiare sano, raffinato e popolare intorno a una tavola, ereditato dai monaci, aggiunge un pezzo di umano in più rispetto al mero sfamarsi. Il lavoro umano ha fatto del nostro territorio una “umana dimora” dove, grazie a ingegno, dedizione e creatività, si sono integrati aspetti diversi: crescita e tutela dell’ambiente, industria e qualità del cibo, tecnica e biodiversità, convivenza e piacere, tradizione, condivisione, convivialità, cioè senso del rapporto. Ambienti come i caffè milanesi sono stati copiati dalle multinazionali americane come esempio di luoghi adattati alla convivenza e al consumo di cibo. Sempre a Milano è nato il Banco Alimentare italiano, opera imponente che attraverso il lavoro di volontari mostra come si possa lottare a livello planetario contro lo spreco alimentare. Realtà note a livello mondiale come Slow Food sono capaci di prefigurare per tutti un rapporto più umano e più costruttivo con l’agricoltura (si pensi al raduno mondiale dei contadini durante l’Expo), e altre meno note, come il Club Papillon, svolgono un compito unico nell’educare al gusto e alla bellezza del rapporto con l’alimentazione.

La condivisione delle buone pratiche che l’Expo consentirà, può offrire l’occasione di imparare un rapporto col cibo non consumistico e una relazione con il territorio che salvaguardi, utilizzi e promuova le biodiversità. Come da tempo sostiene Carlin Petrini, biodiversità significa “coltivare tante cose diverse, in piccola scala; produrre meno, dare più valore a ciò che si produce e non sprecare; mangiare cibi che arrivano dal proprio territorio o dalla minore distanza possibile; promuovere un sistema in equilibrio, durevole, sostenibile”.

Ed anche di fronte ai bisogni di zone del mondo inospitali o particolarmente popolate, la ricerca di un nuovo sistema alimentare mondiale non può che passare per la condivisione e l’approfondimento di conoscenze ed esperienze virtuose.

Sarà interessante confrontarsi con le buone pratiche degli altri Paesi del mondo, senza rinunciare però ad offrire tutta la ricchezza della nostra. Rivivendo la proverbiale apertura e ospitalità meneghina facciamo in modo che i visitatori del mondo, speriamo numerosissimi, possano trovare beneficio dalla ricchezza che portiamo. Noi forse non ce ne accorgiamo ma è veramente un bene per tutti.