Una delle caratteristiche essenziali della nostra società risiede nel rimescolarsi dei gruppi sociali. Povertà e miseria da un lato, benessere e agiatezza dall’altro sono sempre meno rintracciabili attraverso le tradizionali dicotomie con le quali siamo abituati a riconoscerli. In realtà le variabili di fragilità economica si addensano e si consolidano proprio là dove gli stereotipi tradizionali ci hanno a lungo segnalato l’agiatezza ed il benessere.

Gli studenti laureati e diplomati costituiscono la prima di queste aree a rischio. Privi delle abilità pratiche e in gran parte vittime del mancato ricambio generazionale nel settore pubblico, questi costituiscono oramai i veri protagonisti dell’emigrazione contemporanea. Nelle stazioni e negli aeroporti hanno da tempo affiancato, e in qualche caso sostituito, gli artigiani e gli operai: fino a tre o quattro decenni fa protagonisti principali di un tale fenomeno. Nell’attesa di poter recuperare lo status che il loro diploma o la loro laurea garantiscono, ragazzi e ragazze si impegnano in qualsiasi lavoro, specialmente nel settore alberghiero e in quello della ristorazione. Non mancano oramai nemmeno delle vistose presenze in ambito agricolo: in Australia sono oramai oltre 15mila i giovani italiani — tra i quali molti laureati — che, per ottenere un visto di vacanza-lavoro necessario per poter restare e cercarsi un lavoro stabile, si trovano a lavorare fino a 13 ore al giorno nelle fattorie dell’entroterra.

Accanto a questi, una seconda area di precarietà sembra emergere in modo crescente proprio là dove si era stati abituati a vedere serenità e stabilità. Questa è costituita dalle famiglie. Sono infatti oltre un milione i genitori tra i 25 ed i 64 anni senza un lavoro. Il dato è fuorviante e tragico al tempo stesso: fuorviante perché include tra i senza lavoro anche coloro che godono di altre rendite, sono mantenuti dalle famiglie d’origine o dal coniuge benestante; tragico perché dentro questo milione si annidano anche i poveri reali, ai quali vanno sommati coloro che, se pur occupati, hanno comunque un reddito insufficiente per mantenere sé stessi e i loro figli. Un simile gruppo sopravvive di fatto — e quindi non è ancora deflagrato in situazioni di miseria estrema — solo grazie a delle economie di riparo nelle quali i lavori al nero, i legami intra familiari e le economie di scambio giocano un ruolo essenziale.

In tutte le aree europee dove queste economie di fortuna sono invece inesistenti o impraticabili, quest’area di povertà estrema finisce con l’alimentare una situazione di crescente emergenza sociale. Nell’esercito dei genitori senza lavoro sono 146mila ad essere mono genitori: spesso si tratta di madri con figli per le quali la fine della relazione coniugale si incrocia con l’assenza di quelle garanzie che in passato erano assicurate dall’istituzione matrimoniale. Al coniuge inadempiente o introvabile, qualora non intervenga la famiglia d’origine, può corrispondere una situazione di povertà estrema.  

Ciò che le statistiche non dicono riguarda quindi proprio il ruolo strategico costituito dalle relazioni significative. La mancanza del posto di lavoro può risultare sostenibile quando, a fianco del genitore senza lavoro, vi sono altri familiari o comunque delle persone in grado di sostenerlo, ma può essere una tragedia quando queste non sono presenti, né operanti. I genitori senza lavoro, in tutti i casi in cui sono privi di una rete familiare di protezione, si ritrovano ad essere, al pari dei giovani emigranti, caratterizzati dall’assenza o dall’inutilizzabilità dei legami significativi e, proprio per questo, esposti al rischio di un immiserimento crescente.

Si arriva così al vero punto di crisi della società contemporanea: la potenziale assenza di legami sociali, di reti di aiuto, di universi relazionali in grado di esserci e di sostenere. Qualunque intervento sociale che non sia in grado di prendere in considerazione una simile variabile si avvia ad essere, ad un tempo, inefficace, dispendioso, insostenibile. Solo l’azione sussidiaria e solidale può salvare queste persone dal degrado e noi dalla colpevole indifferenza. Le nuove precarietà, i drammi dei genitori senza lavoro come quelle dei giovani diplomati e laureati costretti ad emigrare, sono direttamente proporzionali all’invisibilità nella quale sono rinviati ed al silenzio mediatico dal quale sono circondati.