Tra le ricorrenze letterarie di quest’anno spicca il centenario della pubblicazione de La metamorfosi di Franz Kafka. Il breve racconto ha una potenza inventiva, una suggestività emotiva, una pluralità di lettura tali che è diventato uno dei testi costitutivi della nostra cultura: pressappoco sappiamo tutti di che cosa si tratta. La vicenda è nota: Gregor Samsa, modesto commesso viaggiatore che vive coi genitori e la sorella in un appartamento di una città non nominata ma in cui si riconosce la Praga dell’autore, «un mattino, al risveglio da sogni inquieti, si trovò trasformato in un enorme insetto». Kafka non specifica di quale insetto si tratti, ma si è spesso pensato ad uno scarafaggio. Gregor, diventato scarafaggio, continua a pensare, desiderare, soffrire come quando aveva un corpo umano; pensa addirittura di parlare come prima, ma i suoi parenti non lo capiscono più. Dapprima essi sono comprensibilmente spaventati, poi accettano la stranezza (la sorella si incarica pure di nutrire l’insetto), ma alla fine la situazione diventa insostenibile e Gregor muore non si sa bene per causa di cosa o per colpa di chi.

Sono state date infinite interpretazioni sul significato della metamorfosi di Gregor: l’insopportabilità della famiglia borghese in crisi, l’incompatibilità del genio con un mondo filisteo, l’incomunicabilità radicale cui ci condanna il mondo moderno, l’impossibilità di un affetto autentico; altri approcci interpellano la psicanalisi, l’origine ebraica di Kafka, la sua sessualità e molto altro.

Resta il fatto che quella strana trasformazione (così alcuni preferirebbero tradure il titolo originale del racconto) riesce ad evocare qualcosa che, pur producendoci repulsione, ci riguarda. A cent’anni dalla pubblicazione del racconto ci troviamo a vivere un momento di cambiamento che non appare come un semplice aggiustamento, un ritocco di particolari. Sta avvenendo una metamorfosi profonda e perciò siamo presi dallo sconcerto perché non ne conosciamo l’esito e non sappiamo prevedere i tempi. Ad esempio, viene da chiedersi, dopo aver letti i risultai del referendum sui matrimoni omosessuali in Irlanda: cosa sarà la famiglia domani? Oppure, come si trasformerà la geografia del Medio Oriente, fatta a tavolino dalle potenze occidentali, sotto la pressione dell’Isis? O, ancora, come sarà la comunicazione nell’era di internet omni invasiva? E dove condurrà la sperimentazione biologica sull’uomo? Eccetera.

È stato osservato che non tutte le metamorfosi finiscono tragicamente come quella descritta da Kafka. Che, anzi, in natura la metamorfosi è quel processo per cui il bruco diventa una meravigliosa farfalla. I profondi sconvolgimenti cui stiamo assistendo, dunque, non sono necessariamente un invito ad arroccarci su posizioni consolidate (che del resto a lungo andare non tengono), ma possono rappresentare il suggerimento per un cammino libero da forme stantie, non appesantito da recriminazioni, certo che l’essenziale è in grado mostrarsi in forme (morfé, da cui metamorfosi) nuove e inattese.

L’aveva intuito il giovane Karl Brand, morto ventiduenne di tisi, che nel giugno del 1916 pubblicò La contrometamorfosi di Gregor Samsa. Lo scarafaggio escluso da tutti e buttato nella spazzatura, ritrova le sue fattezze e si riscopre uomo più consapevole e maturo di prima. Le sofferenze della prima metamorfosi non sono per lui state vane.