All’inizio dell’Apocalisse l’apostolo Giovanni si rivolge a sette comunità di cristiani, indirizzando a ciascuna di esse lodi, ammonizioni, consigli. A quella di Efeso, che pure è stata perseverante, ha combattuto i falsi apostoli, ha sofferto per la fede, rimprovera di aver «abbandonato il tuo primo amore».

Il primo amore è anche il titolo di una poesia giovanile di Leopardi, poi inserita nella versione definitiva dei Canti. L’inizio – «Tornami a mente il dì che la battaglia / d’amor sentii la prima volta» – non deve trarre in inganno: il poeta non sta ricordando qualcosa di lontano nel passato; questi versi, infatti, sono stati scritti proprio nei giorni immediatamente successivi al fatto. Che il poeta descrive così: «Se questo è amore, che io non so, questa è la prima volta che io lo provo in età da farci sopra qualche considerazione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato». Oggetto dell’innamoramento è una cugina pesarese di 26 anni, Gertrude Cassi, che dall’11 al 14 dicembre 1817 aveva fatto visita, col marito cinquantenne, ai parenti recanatesi.

Leopardi descrive l’insorgere e lo svolgersi del suo sentimento non solo nella poesia citata, ma anche in un breve scritto intitolato Diario del primo amore, da cui ho tratto la frase sopra. Il giovane, fino ad allora esclusivamente dedito agli studi letterari, mostra in queste pagine una straordinaria acutezza nel guardare e giudicare ciò che gli sta succedendo, i sentimenti del suo cuore; che in sostanza sono «inquietudine indistinta, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che, né anche fra le cose possibili vedo niente che mi possa appagare». A Gertrude Giacomo non disse nulla, anche perché il suo sentimento nei suoi confronti gli fu chiaro solo la notte prima che lei ripartisse e poi non ebbe più occasione.

Cosa ha prodotto in lui questo nuovo sentimento – «veramente puro» scrive nel Diario, e nella poesia rinforza: «Io giuro / che voglia non m’entrò bassa nel petto» -, questa «piaghetta rimasta mezzo saldata»? Leopardi dice che i tipici sintomi dell’innamorato – notti insonni, il «mangiar meno del solito», la testa «instupidita» – non gli dispiacevano perché, di contro, constatava di avere un «animo più alto» e di ritrovarsi «non curante delle cose mondane e delle opinioni e dei disprezzi altrui». Insomma, egli rileva che «i pensieri mi si sono ingranditi, e l’animo fatto alquanto più alto e nobile dell’usato, e il cuore più aperto alle passioni».

Questa nuova altezza o grandezza dell’animo non coincide con una forma di soddisfazione; la passione infatti, scrive nelle ultime pagine del Diario, passa e lascerà nel cuore un «lungo solco che principalmente consisterà in un certo indistinto desiderio, e scontento delle cose presenti». 

Nel momento stesso in cui scoccò la scintilla – la partita a carte giocata con Gertrude la sera prima che lei partisse – Leopardi, ripensandoci, rinviene una dinamica fondamentale: che se anche avesse potuto prolungare quell’attimo beato «giuocando un mese, un anno» non avrebbe mai potuto «uscirne pago». Il giovane diciannovenne ha dunque capito che il primo amore aveva sorprendentemente e acutamente svegliato in lui quelli che in una poesia successiva chiamerà «desideri infiniti».

Forse Giovanni rimproverava gli amici di Efeso anche di non aver mantenuta spalancata l’ampiezza del desiderio che la fede-primo amore aveva in loro suscitato e – come non può fare nessun amore umano – incredibilmente compie lasciandolo aperto.