Siamo davanti al Signore Gesù Cristo, adorandolo nella sua presenza reale, che dobbiamo alla fedeltà granitica della Chiesa che in questi lunghi anni non si è sottratta un solo istante dall’invito: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,20; 1 Cor 11,24-25).
Signore Gesù, concedici di avere un momento di affetto nei tuoi confronti, tu che ci hai riempito e ci riempi di affezione. Ci sei rimasto solo tu — non abbiamo altro che te — perché questa città, come tutte le altre città del mondo, porta i segni sempre più labili della grande storia cristiana.
Sotto qualche edicola, lungo le mura delle nostre case qualche volta segnate dall’inesorabile fluire del tempo, il popolo che passa veloce venera ancora Maria, nonostante lo scempio perpetrato tutte le notti. Molte delle nostre chiese sono chiuse e celebriamo l’Eucaristia e i sacramenti in strutture estemporanee. Sappiamo bene quanto la presenza cristiana sia emarginata, e lo è certamente ad opera di quel pensiero unico dominante spesso additato dal nostro Santo Padre Francesco.
Il pensiero unico dominante distrugge non i valori della tradizione cristiana ma i valori del popolo, e avvia forme e procedure disonorevoli per i rapporti umani, per la nascita e l’incremento della vita e per il suo spegnimento, come se tutto fosse oggetto di manipolazione. Sembra che non ci sia più posto per la fede, se non in qualche momento.
Come ho detto tante volte al mio clero: non illudetevi che sia sufficiente lasciare qualche spazio di impegno clericale domenicale e qualche impegno caritativo che sostiene l’incapacità di molte istituzioni, perché renderanno sempre più difficile la testimonianza integrale della fede nella vita nuova che solo il Signore Gesù Cristo, morto e risorto, comunica alla nostra esistenza, trasformando l’intelligenza e il cuore e facendoci fare l’esperienza di quella pienezza per cui il Signore è venuto, si è sacrificato, è morto ed è risorto: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Quasi sussurrando, o Signore, ti chiediamo di riempirci ancora una volta del dono della Tua vita e di farci partecipare di questa bontà dell’intelligenza e del cuore che rende la vita così umana.
Ci chiediamo spesso — almeno quelli che non hanno ancora accettato le reazioni e il fare dominanti — se abbiamo offeso Dio, se abbiamo offeso Cristo, e se questa situazione così pesante non sia una risposta al nostro allontanamento da Dio, come prova per educare e non per punire. Forse è vera, anzi sono certo che è vera, la lucida e profetica intuizione di Benedetto XVI: «Il mondo ha fatto apostasia da Dio e così ha fatto apostasia da se stesso».
Noi non abbiamo fatto consapevolmente apostasia — ci vuole un certo coraggio per fare il male fino in fondo —, ma abbiamo tollerato che questa società facesse apostasia senza che noi opponessimo un minimo di resistenza e non accettando le indicazioni di resistenza cristiana che i Papi della seconda metà del diciannovesimo secolo e di tutto il ventesimo, fino allo splendore degli ultimi pontificati, ci hanno indicato.
Bisogna resistere al pensiero unico dominante non astrattamente e ideologicamente, ma opponendosi alla cultura della morte che domina la cultura della vita. La vita piena, bella e buona, è un’esperienza di novità e la si può comunicare soltanto se la si vive. Se non si fa questa esperienza di novità non si comunica nulla, secondo il motto del più sapiente fra i popoli antichi prima della fede cristiana, quello romano: «Nemo dat quod non habet» (Nessuno può dare quello che non ha).
Chiediamo al Signore — che è il datore della vita, l’amante del suo popolo, il padre dell’umanità, il redentore dell’uomo e del cosmo — la certezza irresistibile che non la morte vince ma la vita e che la sua gloria, racchiusa finora nelle grandi opere d’arte, possa tornare a sfidare i secoli. La gloria del Signore Gesù Cristo è innanzitutto la gloria della nostra vita rinnovata, perché «Gloria Dei vivens homo» (La gloria di Dio è l’uomo nuovo che vive).
Facci partecipare, o Signore, di questa vita nuova, faccela vivere intensamente, facci desiderare di portarla ad ogni uomo che ci passa accanto, perché incontrandoci si senta investito di questa presenza che rinnova la sua vita, se vuole, o almeno lo inquieti e gli impedisca di essere contento delle piccole e povere speranze di ogni giorno che sfioriscono immediatamente.
Facci uomini veramente cristiani, o Signore, e donaci di vivere in questa povertà la ricchezza della Fede, della Speranza e della Carità in Te, perché attraverso di noi il mondo, se vuole, possa credere.