Ricevendo il dottorato honoris causa dalla Pontificia Università e dall’Accademia musicale di Cracovia, il papa emerito Benedetto XVI ha tenuto un breve ma succosissimo discorso. Come al solito, va dritto al cuore della questione e si chiede: «Che cos’è in realtà la musica? Da dove viene e a cosa tende?». Egli individua tre «luoghi» da cui scaturisce la musica.

Il primo è «l’esperienza dell’amore». Come mai? «Quando gli uomini – risponde il papa emerito – furono afferrati dall’amore, si schiuse loro un’altra dimensione dell’essere, una nuova grandezza e ampiezza della realtà» che le parole dei ragionamenti non bastavano a descrivere; occorreva un salto espressivo: la poesia e, appunto, la musica.

«Una seconda origine della musica è l’esperienza della tristezza, l’essere toccati dalla morte, dal dolore e dagli abissi dell’esistenza. Anche in questo caso si schiudono, in direzione opposta, nuove dimensioni della realtà che non possono più trovare risposta nei soli discorsi». Penso che ciascuno di noi conosca l’esperienza di aver sentito espressi in un certo brano musicale propri momenti di malinconia, di sconforto, magari anche di disperazione; momenti in cui quello che ci capita non è chiaro neppure a noi stessi e quella musica, invece, lo significa perfettamente.

«Il terzo luogo dell’origine della musica è l’incontro con il divino. A maggior ragione è qui che è presente il totalmente altro e il totalmente grande che suscita nell’uomo nuovi modi di esprimersi. Forse è possibile affermare che in realtà anche negli altri due ambiti – l’amore e la morte – il mistero divino ci tocca e, in questo senso, è l’essere toccati da Dio che complessivamente costituisce l’origine della musica». Charles Baudelaire scriveva che «con la musica e attraverso la musica, l’anima intuisce la luce che splende al di là della tomba» e l’emozione che prende per una musica perfetta è «indice di una natura esiliata nell’imperfetto che bramerebbe possedere subito, in questo mondo, un paradiso rivelato».

Penso che la scelta di Benedetto XVI di trattare questo argomento nell’unico intervento pubblico fatto dopo la rinuncia al pontificato vada ben al di là dell’occasione data dalla circostanza e non sia per nulla una fuga nei cieli rarefatti dell’astrazione distaccata dalla contingenza storica. Pensiamoci un attimo: amore, morte, Dio non sono forse le questioni in ultima analisi veramente “calde” dell’attualità ecclesiale e sociale? Questioni che non si possono affrontare rimanendo su un livello di pura analisi quantitativa, di definizioni geometriche; in questi ambiti – che toccano inesorabilmente ogni persona – non ci si può fermare alla prosa né, tantomeno, alle tabelle numeriche; occorre fare il salto alla musica.

Lo dice bene la saggezza biblica quando, nel 32esimo capitolo del libro del Siracide, invita l’anziano che si trova in un convito amichevole a parlare perché tutti possano godere della sua saggezza. Ma soprattutto gli ordina: «Non impedias musicam», non impedire la musica, non ingabbiare la grandezza di quei rapporti, non accontentarti di sentimenti superficiali, non rimpicciolire l’orizzonte sterminato. San Giovanni Bosco – che di educazione se ne intendeva – ha fatto scrivere sopra la porta dell’aula in cui insegnava canto ai suoi ragazzi proprio questa frase del saggio biblico come invito perennemente valido: «Non impedias musicam».