Quella passata è stata una settimana di paradossi. Il Presidente Usa che ha commesso più sbagli sul Medio Oriente ha siglato un accordo con l’Iran che può essere decisivo per portare un po’ di stabilità in una delle regioni più importanti del pianeta e che ora vive una tensione simile a quella sofferta dall’Europa nella Prima guerra mondiale. Obama ha sbagliato ad appoggiare i Fratelli musulmani in Egitto, a ritirarsi dall’Iraq, a sostenere prima l’opposizione e poi il regime in Siria. Tuttavia ha fatto centro nel togliere dall’isolamento l’Iran con l’accordo di Vienna. 

Per capire cos’è successo nella capitale austriaca basta recarsi in uno dei villaggi vicino Baalbek, nel Libano orientale. Basta chiedere ai rifugiati siriani cosa pensano di queste località controllate da Hezbollah, tutte decorate con grandi manifesti del loro leader Nasrallah. Coloro che fuggono dalla pulizia etnica dell’Isis si sentono finalmente al sicuro sotto la protezione della milizia filo-iraniana. L’Iran è diventato il miglior alleato nella guerra civile in corso in Medio Oriente, la guerra civile all’interno dell’Islam, la guerra tra sciiti e sunniti, e soprattutto tra le diverse fazioni sunnite. Non ci sarà vittoria sull’Isis senza l’aiuto dei Persiani. Non sono democratici, ma gestiscono uno Stato degno di questo nome, capace di affrontare il terrorismo. 

Abbandonare i programmi ideologici di esportazione della democrazia di Bush, che 11 anni fa hanno provocato un disastro senza precedenti in Iraq, e allontanarsi un po’ da Arabia Saudita e Qatar sono stati ottime mosse di Obama, quasi paradossali se si pensa che le ha fatte un Presidente che sarebbe già eccessivo definire pragmatico. E un paradosso è anche scommettere su un Paese che alla fine degli anni ’70 ha dato il via all’islamismo politico. 

Paradossale è che l’Europa – con tutta la sua storia e i suoi meriti – 27 ore prima dell’accordo di Vienna, a 1.105 chilometri di distanza, ha chiuso in extremis il terzo salvataggio della Grecia, che ha messo in evidenza le debolezze del Vecchio continente. La soluzione trovata sembra infatti una toppa momentanea. Non è certo infatti che il prestito-ponte, il terzo pacchetto di aiuti e le riforme che saranno fatte riusciranno a rompere il circolo vizioso che ha generato il debito e portato il Paese sull’orlo del default. Non è stato compiuto alcun passo per rafforzare politicamente l’euro. Bruxelles, Parigi e Berlino sembrano sempre più prigioniere della tecnocrazia e di quel nazionalismo che ha la forma di fondi pensione. Manca il muscolo per trovare una soluzione all’altezza della sfida populista.

Questi sono paradossi di un’età distruttiva, di un cambiamento d’epoca in cui molti edifici restano in piedi per inerzia. Ogni volta è più evidente: le tradizioni da cui sono sorte queste costruzioni si sono trasformate in scheletri senza vita. Per questo forse è ingenuo confidare, come abbiamo fatto finora, in formule, partiti, sistemi. Non hanno modo di mantenere la stabilità sociale, la pace e un certo grado di umanità.

Lo spiega bene anche Martin Wolf, editorialista del Financial Times, una sorta di guru dei mercati finanziari. Per decenni ha professato un fede quasi religiosa nel liberismo, ma ultimamente segnala che il nostro modo di vedere il mondo, basato sui progressi della Rivoluzione industriale, della Rivoluzione Industriale, della Rivoluzione Americana e della Rivoluzione Francese, utile negli ultimi due secoli e mezzo, ha smesso di essere tale. I fondamenti dell’Illuminismo non sono più un terreno solido. Wolf confessa che non sa dove ci porteranno le forze della globalizzazione, siamo davanti a un tempo di cui non riusciamo a comprendere le regole.

Probabilmente la globalizzazione ha portato allo scoperto un processo che era dentro di noi da tempo. Gli educatori lo conoscono bene perché vedono nei giovani le conseguenze di quel che noi adulti gli abbiamo trasmesso inconsapevolmente: una debolezza senza precedenti nella storia, una mancanza di energia che ci lascia indifesi dinanzi alle forze del mercato.

La geometria – geostrategica, economica, politica ed esistenziale – è diventata radicalmente variabile, che non vuole dire relativa. La geometria continua ad avere le sue forme e i suoi angoli, ma i costumi e le abitudini non servono più a capirli. Occorre piuttosto una distanza critica e ironica, un saper bene quel che conta realmente e un ritorno a esaminare le cose. Con quale criterio?