Se non è grande, che speranza è?

La crisi Russa è una crisi di speranza, della speranza di padri, di maestri, di testimoni di una verità e della possibilità di una convivenza e di un progresso civile. Ne parla NINA SEMIZ

La Fondazione “Dinastia” di Mosca ha chiuso i battenti e il suo fondatore Dmitrij Zimin, miliardario della telefonia mobile russa, fondatore della compagnia Beeline, ha rinunciato a spendere i propri capitali per sostenere le scienze russe: se n’è andato all’estero dicendo: “il segno che sono un patriota è che mi vergogno da morire del mio paese, più di qualsiasi altro paese al mondo”. Il fatto è successo nel giugno scorso, dopo che il Ministero della Giustizia aveva inserito la sua Fondazione nel registro degli “agenti stranieri”, come dire “sospetti di spionaggio”; da allora il mondo accademico e scientifico russo è caduto in depressione, perché si vede chiudere una dopo l’altra tutte le possibilità di finanziamento e di ricerca. È in atto uno stillicidio delle forze intellettuali e creative, che non vedono più prospettive nel proprio paese; le code nelle ambasciate per chiedere il visto di espatrio arrivano quasi a ricordare quelle degli anni ’70-80: intellettuali, filosofi, scrittori, cantanti, attori emigrano in Israele, in Europa, in America. È un dissanguamento intellettuale quello che si sta consumando all’insaputa del mondo, ma non è dall’Unione Sovietica che questa gente fugge: é da un altro paese, nuovo, sospeso al passato, ma che non sa scegliere tra impero e modernità. E c’è un’altra grossa differenza tra l’URSS al tramonto e la Russia di oggi, ed è l’opposizione. Tutti ricordiamo l’epopea del dissenso sovietico, quel piccolo gruppo di coraggiosi disposti a mettere a repentaglio la vita personale e professionale pur di restare fedeli alla propria dignità umana, alla responsabilità per sé e per la cosa pubblica. Erano uomini normali, con egoismi e debolezze normali, ma nutrivano una grande speranza “contro ogni speranza”, credevano che in forza della verità e del sacrificio personale la situazione sarebbe cambiata, che la buona politica avesse una premessa non politica, autenticamente spirituale e perciò umana, accessibile alle forze della singola persona.
Oggi non è che l’opposizione non ci sia più nella Russia putiniana, l’opposizione c’è ma certamente non è più come quella di Sacharov e Solzenicyn. Gli oppositori, anche quelli che vantano una lunga militanza “sovietica”, sono più tecnici e disincantati, parlano di posizioni, di resistenza e prospettive a lungo termine, ma non si sente nelle loro parole quel pathos ideale ingenuo e forte che conquistava, proponendo l’esigente “vivere senza menzogna”. A parte qualche luminosa eccezione, anche gli oppositori sono diversi oggi; dopo l’apparente unanimità ispirata dal patriottismo infuocato dell’annessione della Crimea e del Settantennio della Vittoria, ora tornano a farsi sentire ma in maniera episodica, dispersa, concentrata su problemi locali come la difesa di un parco cittadino, l’opposizione a una nuova autostrada, alle lottizzazioni mafiose. Sono forme di autocoscienza civile, è vero, modi in cui i cittadini prendono le distanze dalla propaganda martellante esprimendo un atteggiamento indipendente, che però è spesso pervaso di disprezzo e di sterile ostilità. Perchè l’opposizione possa consolidarsi sarebbe necessario che le motivazioni “locali” assumessero un respiro più ampio, si aprissero a una speranza più universale e fondata su un bene certo.

Nel complesso, si direbbe che oggi sia proprio la speranza a mancare, perché i padri, i maestri, o i testimoni di questa speranza, civile e spirituale, sembrano venuti meno in Russia. Anche la Chiesa ortodossa ufficiale, infatti, non si è dimostrata all’altezza di questa attesa. L’immane sforzo di ricostruzione in cui si è impegnata l’ha indotta spesso a barattare la grande speranza nella rinascita cristiana con un mediocre ideale storico-politico, la Rus’ come prototipo dell’impero ortodosso. Invece di offrire all’uomo, credente o non credente che sia, le motivazioni vere del costruire in un paese che sembra non cambiare mai; invece di far proprie le istanze, anche parziali, di giustizia e di libertà dando loro un’apertura infinita che vada ben oltre la politica, si è arroccata sulla difesa dello status quo, di un’immagine stantia di grandeur imperiale. E invece di accogliere le briciole di verità presenti nelle varie istanze, per costruire lentamente una nuova società a misura d’uomo, si preoccupa di prendere le distanze, stigmatizzare, sciabola accuse a nemici interni ed esterni, scomunicando gli intellettuali.
Così facendo ha finito per alienarsi totalmente le simpatie dell’opposizione, che inizialmente non era anticlericale e invece oggi lo è sempre di più, e ferocemente. L’anticlericalismo che non aveva mai avuto spazio e credibilità fra i dissidenti, oggi diventa una nuova ideologia. Col risultato che la speranza, dentro e fuori la Chiesa, oggi non c’è più, e nessuno riesce più a credere nella forza della verità e della giustizia. È una prova, per ora in negativo, di quanto sia essenziale il cristianesimo per la vita di una società: se il sale perde il sapore a cosa servirà?
Così, mentre avviene un altro silenzioso stillicidio, quello degli intellettuali russi che lasciano la Chiesa, ha preso piede l’ultima menzogna mondana, e cioè che ogni libertá civile vada strappata innanzitutto all’invasivitá di un cristianesimo parassita e alleato del potere. “Nel 2006 – scrive il biblista Andrej Desnickij – la Chiesa ortodossa russa era la Chiesa delle vecchiette e degli intellettuali… Oggi è la Chiesa delle vecchiette, dei funzionari e degli attivisti”. Il mese scorso in un parco a nord di Mosca centinaia di cittadini hanno protestato a lungo per impedire la “costruzione illegale” di una chiesa. Il modo stesso di porre la questione dice quanto sia ormai degenerata la coscienza della posta in gioco. Quante energie sprecate in un’assurda inimicizia, in una società senza speranza perché senza padri.

D’altronde che fare se un vero padre non c’è?
Tempo fa, una mamma russa chiedeva a un esperto come dare al proprio figlio un’esperienza di paternità se, diceva, “meno che mai vorrei che mio figlio somigliasse a suo padre”. La risposta è stata: se il padre prossimo manca, bisogna guardare più in lá, dove sono i padri veri. E poi precisava: la Russia ne ha, ad esempio il metropolita Antonij di Suroz, che ha abbracciato e fatto crescere i suoi figli senza nascondere loro il dramma della vita: “Ho la netta sensazione che il Terzo millennio in cui entriamo sarà oscuro, difficile, anche sgradevole… ma mi sembra che dobbiamo radicarci in Dio e non avere paura di pensare con libertá”.

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.