E adesso tutti in vacanza. Per almeno dieci giorni gli italiani a riposo, ci dicono le statistiche, saranno molti di più di quelli a lavoro. Siamo al termine di un anno sociale e forse, come nazione, è giusto regalarci un ultimo selfie per vedere dove siamo, con chi siamo e — in fondo — come stiamo.

Le questioni sul tavolo sono tante, ma almeno tre, in questa immaginaria foto di gruppo, spiccano e sfidano.

Anzitutto c’è lo scoramento di un’Italia che non si sente più politicamente rappresentata. Per il secondo anno consecutivo si sono recati alle urne circa il 50 per cento degli aventi diritto e questo testimonia una vera emergenza democratica. Destra e sinistra non esistono più e al loro posto potrebbero farsi largo due modi diversi di fare politica: il partito della contrapposizione e il partito della sintesi. La grande maggioranza dei partiti odierni, per il loro voler rottamare il passato o “mandare tutti a casa”, è ascrivibile alle forze dell’antitesi, a quelle forze che agiscono nel perimetro preciso di una più o meno chiara contrapposizione rivoluzionaria o riformatrice. Ciò che non si vede ancora all’orizzonte, al contrario, è un partito che sappia fare sintesi, riconciliando le diverse anime del popolo italiano e costruendo una piattaforma non ideologica, bensì di sguardo propositivo, sulla realtà. È la cultura dell’incontro la chiave della pacificazione nazionale, delle risposte politiche al dissesto idrogeologico del territorio, all’economia in panne, ai flussi migratori inarrestabili e alle tremende minacce del terrorismo; una cultura che si apra e si faccia prossima non da posizioni di imbarazzo o di disagio, ma come chi ha saputo seriamente fare i conti con la propria storia e il proprio passato.

In questo contesto, inevitabilmente, si inserisce la questione della Chiesa cattolica. Ciò che sorprende è la totale mancanza di comprensione da parte della classe dirigente del nostro paese del ruolo sociale della Chiesa nella comunità civile. Quando esponenti del mondo politico propongono di ospitare gli immigrati che arrivano sulle nostre coste in Vaticano, non si vede nessuno che si alzi in piedi e risponda — chiaro e tondo — che il Vaticano questo lo fa già perché, senza la Caritas o le parrocchie, l’immigrazione avrebbe spinto tutti alle soglie di una guerra. Considerando che i signori che accusano la Chiesa di svicolare dai propri doveri civici e fiscali se ne guardano bene da mettere i piedi a Scampia o da erigere scuole dove nessuno mai le istituirebbe, bisognerebbe spiegare ai nostri legislatori che né la Chiesa gode di privilegi — a fronte dei servizi erogati — né che quando parla di vita o di famiglia promuove un’istanza meramente religiosa scevra da ogni fondamento razionale.

Se si banalizza la famiglia fondata sul matrimonio, riducendo tale istituto giuridico ad un mero accordo sentimentale dal valore legale, ci si ritrova poi, nella vita reale, con meno ammortizzatori sociali, con meno protezioni culturali e con meno sicurezza nell’ordine pubblico: è necessario, pertanto, prestare molta attenzione alle ricadute politiche degli interventi legislativi su questi temi ed evitare di imporre a paesi dalla lunga tradizione cattolica modelli politically correct di ispirazione protestante, spacciandoli magari per ricette moderne e intrinsecamente laiche. 

In ultimo, questo selfie di fine anno ci racconta anche di una lacerazione forte dei vecchi tessuti ideali, da quello cattolico a quello socialista, fino a quello liberale. La frammentazione e la lotta assorbono ogni ragionevolezza e ciascuno, nel proprio orto, fa la gara per essere più puro dei puri, più ortodosso degli ortodossi, più “in regola” di coloro che sono “in regola”. Il Sinodo della famiglia alle porte, in particolare, mostra come nel mondo cattolico il potere della rete, invece di ampliare e approfondire il dibattito nella comunità, abbia generato altresì divisioni e fazioni che — incapaci di una vera coscienza critica — appoggiano istintivamente l’una o l’altra tesi teologica, dimenticando (come fecero i loro avi nell’Egitto del VII secolo mentre le truppe del Califfo li conquistavano) che la fede è un fatto e che i fatti sono sempre vivi e dunque mai fossilizzabili in sterili ideologie.

Con una foto del genere viene allora da chiedersi: com’è possibile ricominciare? Da dove ripartire? Quando la realtà ci si fa incomprensibile è altresì il soggetto, l’Io, ad essere nella nebbia, non le circostanze che abbiamo davanti. La corruzione, la violenza e la divisione ci lasciano sgomenti. Ma è il nostro cuore che non sa più che cosa vuole, “di che mancanza sia questa mancanza” che sente. E allora ci si aggrappa a tutto quello che si trova, sperando di generare da sè “la soluzione” ad ogni problema. 

Al cuore della confusione dell’impero romano Dio, però, non pose una ricetta nuova o una dottrina cristallina, bensì una Presenza. E così oggi tutto ancora inizia, tutto riparte, dal riconoscere che è una Presenza ciò che davvero brama questa nostra povera vita. Perché, magari non ce ne siamo accorti, ma nel selfie di fine anno questa Presenza c’è. Per i semplici e per i poveri Egli è già lì ed è già all’opera. Torna a turbare le nostre certezze, a calamitare le nostre lacrime, ad abbattere i nostri schemi. Sembra che tutto apparentemente crolli. Ma se guardassimo più attentamente il nostro selfie ci renderemmo conto che Qualcuno, laggiù — in fondo alla fotografia — sta costruendo una cosa nuova. E che questo Qualcuno non ha proprio nessuna intenzione di andare in ferie. Fiero dell’inaudita pretesa che egli ha di rendere, col Suo amore, più umano il mondo intero.