Che Abramo è il nostro padre nella fede non è una fiaba. Lo abbiamo visto ieri alla fiera di Rimini. Un cristiano (Julián Carrón) e un ebreo (Joseph Weiler) a dialogare proprio su Abramo. Grazie a Dio la Chiesa ha rifiutato, già nel secondo secolo dopo Cristo, la tentazione di far fuori l’Antico Testamento. La storia di Israele è pedagogia, per noi cristiani.
Si parte dal racconto biblico. Da grande giurista, Weiler ci fa capire che con Abramo l’uomo ha imparato ad agire con giustizia e diritto, a essere morale. Addirittura ha raggiunto un traguardo che pensavamo fosse moderno: “se non è giusto non può essere di Dio”. Una grande rivoluzione. Comunque, interloquisce Carrón, che razza di avvenimento ha dovuto raggiungere Abramo per tirar fuori un io come questo, senza antecedenti nella Mesopotamia! Che razza di familiarità col Mistero è accaduta in Abramo per indirizzare Dio come fa il salmista: “tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, come terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 62).
E si va avanti sull’oggi, parlando della nostra epoca segnata dalla disperazione, dal torpore, dalla mancanza dell’io. E si fa fuori subito ogni impressione che il problema sia morale, che la soluzione sia puntare sul coraggio. Infatti, quello che viene meno è proprio la capacità di adesione. Carrón punta ancora sull’avvenimento: l’obbedienza di Abramo, nella paradigmatica scena del mancato sacrificio del figlio, non si può capire senza guardare la coscienza di Abramo, tutta tessuta dal rapporto fiducioso con un Dio che è entrato nella storia. È questo rapporto che muove l’io.
Si parla perfino di terrorismo. Qui non si scherza. Cosa può dire Abramo? Anzi, non è Abramo, padre delle grandi religioni, l’origine del problema? Ma il problema lo abbiamo noi a casa, con i nostri figli! Abbiamo qualcosa da offrir loro per tirarli fuori dal nulla? Ecco che si ripropone ancora la figura di Abramo: come ieri, anche oggi c’è qualcosa in grado di ridestare l’io e di offrire una novità? Si riparte soltanto da quegli attimi in cui tutto l’io è preso dalla bellezza di quello che sta avvenendo e che si mostra più potente dei nostri problemi.
Dopo un’ora di dialogo, il riproporre in continuazione l’avvenimento contemporaneo del divino nella storia, unico fatto capace di chiarire i tratti del volto dell’io, s’impone come la categoria interpretativa del pensiero di Carrón. Che martella su questo punto. Ma che razza di familiarità col Mistero ha quest’uomo per partire in continuazione dalla Sua Presenza?
Le battute finali ci riservano una sorpresa. L’ebreo Weiler che parla dell’audacia di Carrón che ha voluto mettere al centro del Meeting il padre Abramo. “Di te, figlio di Giussani, si può dire quello che Dio ha detto ad Abramo: in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Detto a un cristiano da un ebreo. Abramo ha educato un popolo etnico, il popolo ebraico, il popolo della Legge. Cristo invece ha educato l’umanità arrivata dai Gentili per compiere la promessa fatta ad Abramo di arrivare a tutti. Ancora oggi l’avvenimento di Cristo arriva agli uomini tramite la scelta di uomini colpiti dalla Sua contemporaneità. Il cui nome diventa benedizione per tutti noi.