L Meeting di Rimini che si è appena chiuso ha segnato una svolta. Non tanto per i numeri e per l’interesse che ha suscitato – benché si tratti di dati sempre sorprendenti – quanto per il messaggio che ha lasciato a tutti noi che lo abbiamo vissuto.

Di fronte ai cambiamenti epocali e burrascosi a cui stiamo assistendo, al venir meno dei paradigmi culturali e delle sicurezze a cui eravamo abituati e, non ultimo, di fronte all’incapacità crescente di progettare il futuro, il Meeting ci ha spinti a cercare risposte non in nuove ideologie, in sistemi di pensiero che qualche illuminato deve mettere a punto e diffondere, ma nella capacità di tutti di dire “io”.



Non si tratta di assecondare la tendenza narcisista della nostra epoca, quella di tanti sé rimpiccioliti e rinchiusi in schemi in cui sentirsi al sicuro, ma di indicare un cambiamento profondo dell’esperienza e della coscienza di noi stessi.

Nonostante i maître à penser che tentano di sostenerle in economia, politica, nelle relazioni internazionali, le costruzioni ideologiche tradizionali hanno irrimediabilmente fatto il loro corso. O, peggio, sopravvivono nel nulla violento del terrorismo armato e di quello verbale, che scarica sul diverso il livore e la rabbia di un’assenza agghiacciante di proposta.



Al Meeting si è vista tra gli ospiti una corrente trasversale di persone, di diversa origine geografica e culturale, impegnate ognuna nel suo settore nel conoscere, approfondire, interpellare la realtà in modo libero, oltre gli schemi, aspettandosi sempre qualcosa di nuovo.

“Io” artefici, a diversi livelli, di conoscenza e costruttività, che non si fanno attrarre da preoccupazioni apologetiche, aprioristiche, ma umilmente si pongono di fronte a pezzi di vita e di realtà da scoprire perché siano parte del proprio cammino di uomini.

Capostipite di questa posizione umana rivoluzionaria è storicamente il patriarca Abramo che il Meeting ha messo al centro di alcuni suoi importanti momenti di approfondimento. Cosa successe ad Abramo di così importante? Si sentì misteriosamente chiamato da Dio e, soprattutto, come ha ricordato il professor Joseph Weiler, trattato da Dio alla pari. Abituati come siamo a considerare la religione come qualcosa che poco o tanto ci “tiene sotto”, che sottolinea una distanza incolmabile tra la nostra piccolezza e l’infinito, dobbiamo fare uno sforzo non indifferente per immedesimarci in questo passaggio. Eppure, le vicende bibliche mostrano un uomo con lo sguardo “alzato”; interpellato dagli eventi, ma non sottomesso; continuamente ostacolato, ma in tal modo reso più persuaso della direzione presa; provato, ma per accrescere la sua consistenza.



Vicende non solo bibliche ma anche odierne quelle di cui siamo stati spettatori al Meeting. Durante la settimana riminese infatti abbiamo sentito parlare uomini che vivono situazioni drammatiche in terre di conflitto e che ci hanno detto come l’uomo autenticamente religioso, che non riduce Dio a idolo, dà vita a forme di convivenza fatte di impegno a capire, accogliere e rispettare l’altro. Abbiamo ascoltato politici, intellettuali, scienziati, uomini di azienda perennemente alla ricerca della bellezza e di un rapporto con ciò che fanno che li renda un po’ più “io”.

Sono persone con ideali, religioni, etnie, nazionalità tra le più disparate. Anche la nostra realtà più prossima ci interpella allo stesso livello, quella della crisi economica, della difficoltà ad arrivare a fine mese, del lavoro che manca, del dramma dell’immigrazione, ormai un esodo di portata biblica che aumenta di giorno in giorno.

Al Meeting abbiamo incontrato una umanità che ha ricominciato a dire “io”, che non pretende di avere le soluzioni in tasca, ma pone il proprio esempio e la propria collaborazione senza steccati e così prova a costruire un mondo nuovo, reagendo ai momenti di crisi imposti dagli eventi, esplorando nuove soluzioni, guardando oltre, non lasciandosi sopraffare da negatività e cinismo.

A cominciare da quei tremila volontari che durante il Meeting si sono sobbarcati i lavori più faticosi e più umili con il sorriso sulle labbra perché la loro fatica era vissuta con lo scopo di servire una presenza piena di significato.

Tornando a casa non sappiamo cosa ci aspetta, una cosa è certa però: quando, a livello personale, sociale, economico e istituzionale, è accaduto che qualcuno riprendesse coscienza di sé e del suo desiderio di bene insopprimibile, qualcosa di buono è sempre successo.