Le nostre piccole e grandi croci

La croce è percepita sostanzialmente come un simbolo, ma nella festa che si celebra oggi, l'"Esaltazione della santa croce", è un preciso oggetto storicamente determinato. PIGI COLOGNESI

Il calendario liturgico propone oggi la festa della «Esaltazione della santa croce»; titolo che suona alle nostre orecchie un po’ vecchiotto, al limite della incomprensibilità.

La croce è percepita oggi sostanzialmente come un simbolo. Simbolo ormai privato del suo contenuto religioso: i giovani latinoamericani che incontro nel mio quartiere, dall’aspetto e dai discorsi non molto devoti, hanno al collo la corona del rosario che termina con la croce, che è ormai un puro pendaglio; come del resto lo è nelle preziose parure delle signore che vanno alla prima della Scala. Simbolo di una fede che si vuol cancellare: l’Isis che ovunque arriva decapita i campanili delle loro croci, i burocrati zelanti che la tolgono da scuole, uffici, ospedali e dal collo dei loro dipendenti, persino squadre sportive che la eliminano – forse per non irritare facoltosi partner arabi – dalle magliette e dai gagliardetti. Simbolo, per i più sensibili, della umana sofferenza che domina la storia, tanto più degna di compassione per il fatto che chi la subisce è un innocente.

Ma la croce di cui si tratta nella festa di oggi non è anzitutto un simbolo: è un preciso oggetto storicamente determinato. La festa si riallaccia infatti ad un evento preciso: il ritrovamento a Gerusalemme, da parte di Elena, la madre di Costantino, del legno su cui, circa trecento anni prima, il giovane rabbi proveniente dalla Galilea era stato inchiodato ed era morto. La devozione cristiana ha fatto fiorire un’infinità di storie intorno a quel legno, ma non ne ha mai smarrito la dimensione fattuale e concreta: Gesù è morto su una croce, condannato al supplizio più disonorevole dei suoi tempi. Proprio quella croce è «esaltata» perché su di essa si è celebrato il sacrificio che dona salvezza.

La croce è certamente il simbolo dell’identità cristiana; i vecchi catechismi iniziavano con queste parole: «Fate il segno della croce». È interessante osservare che nei primissimi secoli i cristiani usavano per riconoscersi il simbolo del pesce (la parola greca «pesce» è composta dalla iniziali della frase «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore»). La croce si impose in seguito. Celebre è l’episodio di Costantino, che prima della decisiva battaglia per il dominio sull’impero viene ispirato a combattere proprio sotto l’insegna della croce: «In hoc signo vinces». Ed effettivamente vinse e lo strumento di condanna a morte divenne segno di vittoria. Ma tutte le esaltazioni strumentalizzanti che possono esserne state effettuate nella storia non hanno potuto cancellare il dato originario: la croce è il luogo di un martirio, di un’apparente sconfitta, di un radicale fallimento.

Dall’alto di essa Cristo, però, regna: quante statue medievali lo raffigurano in croce con in testa la corona della vittoria! Regna perché ha accettato il paradossale disegno del Padre, nel quale era inscritta la sua morte. Allora il cristiano non lega la propria identità al successo di una vittoria mondana e, quindi, quando «esalta» la croce storica in essa può comprende tutte le piccole e grandi croci che inesorabilmente la vita gli pone sulle spalle. 

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