Francesco, Matteo e il comunista

Nuova tappa di papa Francesco a Cuba, con Raul Castro ad ascoltarlo in un'omelia molto particolare, nel giorno di San Matteo. CRISTIANA CARICATO commenta le parole del Pontefice

Un’altra Plaza de la Revolucion, sempre intitolata a un eroe dell’indipendenza. Nessuna icona, nessun mito, ma il Castro più giovane con paglia in testa e camicia bianca, tenuta adeguata alle temperature bollenti e a chi sente l’aria familiare di casa. Due messe in due giorni per il presidente che qualche anno fa aveva dichiarato di averne ascoltate troppe in gioventù, allievo dei gesuiti. Ma a Holguin Raul non poteva mancare.



Nella provincia a sud-est dell’isola caraibica sono nati e cresciuti i fratelli Castro, e forse non è un caso che la terza città cubana sia finita nel tour caraibico di Francesco. Certo era rimasta fuori dagli itinerari dei predecessori, e sappiamo che il Papa aveva chiesto espressamente di visitare gli esclusi. Ma nell’avvicinamento a Santiago, l’altro polo cubano, la tappa di Holguin non è stata casuale. E a ricompesare i 150mila arrivati da tutta la provincia e dalle altre diocesi dell’isola, Francesco ha regalato una delle sue omelie, capaci di sciogliere il cuore e di far desiderare l’Eterno.



Giorno di San Matteo e anniversario importante per la sua biografia. Il 21 settembre del 1953, nella parrocchia di san José, a Buenos Aires, gli arrivò quella chiamata che sembra piuttosto una mazzata in testa tanto sconvolge la vita. Ieri era il giorno della sua vocazione, quello che ha determinato il suo destino, prima di gesuita, poi di sacerdote e infine di Papa. Ieri non ha citato il quadro con cui evoca la pagina del Vangelo che ama di più, ma è come se l’avesse fatto.

Il genio di Caravaggio, il modo sublime e struggente con cui racconta lo sguardo di Gesù su quell’esattore avido e un pò meschino era lì. Il misionero della Misericordia doveva averlo negli occhi feriti dal sole prepotente quando ha parlato del Gesù che getta il suo sguardo su Matteo contratto dal peccato, appoggiato al banco per la riscossione dell’imposte. Gesù che non corre, che non ha fretta, che lo guarda come nessuno mai. E gli apre il cuore e la mente, lo rende libero e nuovo, peccatore sanato. Resituendo quella dignità che è propria dei figli, anche quando sono sporcati dagli sbagli, sempre presente nel fondo dell’anima.



Non ho potuto non pensare al vecchio Fidel, inquieto dopo una vita di certezze , davanti all’abisso che spalanca la prossimità con la morte.  E a quello sguardo cercato e inchiodato nell’incontro dell’Avana. È lo sguardo che cerca ogni uomo, lo sguardo capace di restituire alla verità di sé, al legame con la bellezza agognata dal cuore.

E durante l’omelia, mentre giornalisti e fedeli si squagliavano ai 40 gradi carichi di umidità, tra magliette e camice zuppe di sudore, volti grondanti acqua e patetici tentativi di immobilità per evitare la sudorazione copiosa, ho pensato che forse la dissennata e inutile ricerca di dichiarazioni eclatanti in un viaggio obbligatoriamente politico non doveva poi portare tanto lontano. In fondo cosa c’è di più rivoluzionario che ammettere che l’uomo ha bisogno di uno sguardo come quello ricevuto da Matteo? Che tutto, compreso il benessere di una società, il suo sviluppo dipende da quello sguardo?

Qualcuno ieri liquidava in fretta l’omelia come una bella predica, tutta spirituale. Credo invece che la pretesa “politica” dello sguardo di Gesù su Matteo è più ingerente di qualsiasi altra richiesta che il capo della Chiesa Cattolica potesse fare, in questo momento, al governo e alla società cubana. E la conferma è nelle parole che poi hanno fatto sprecare le stellette alle agenzie: “Per Matteo e per tutti coloro che hanno percepito lo sguardo di Gesù, i concittadini non sono quelli di cui si approfitta, si usa e si abusa”. Chi sente su di sé quello sguardo non può non guardare il mondo in maniera diversa. La giustizia e la libertà non nascono da un progetto politico, da un vorticoso movimento per quanto idealista e buono, ma solo da una dinamica personale, dal carnale riconoscersi in un Altro. C’è un amore che precede, che va oltre le categorie sociali, oltre il peccato e i limiti.

A 24 ore di distanza dalla celebrazione sotto lo sguardo del Che, Francesco è tornato a indicare la qualità ontologica del servizio, e il suo motore propulsivo. Una passione che va oltre le apparenze e il politicamente corretto. Un amore capace di trasformare un esattore in servitore. E forse un irriducibile comunista in un innamorato di Cristo. 

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