Volkswagen, la giustizia degli “indignati”

La vicenda Volkswagen ha assunto, nell'arco di pochi giorni, una dimensione problematica tale da suscitare più di qualche sospetto. Il commento di SALVATORE ABBRUZZESE

La vicenda Volkswagen ha assunto, nell’arco di pochi giorni, una dimensione problematica tale da suscitare più di qualche sospetto. La violazione delle regole che negli Stati Uniti presiedono ai controlli sulle emissioni dei gas di scarico dei motori diesel, hanno portato quest’azienda che le ha violate nell’occhio del ciclone. Sono già pervenute le dimissioni dell’amministratore delegato, mentre ci si affretta a tirare in causa il governo tedesco stesso e, finalmente, la tanto detestata Angela Merkel. 

Al di là di quanto verrà dimostrato non può certamente passare inosservato il vicolo cieco, quando non addirittura una vera e propria ultima spiaggia che si è venuta a creare tra un sistema di controlli sempre più sofisticato, alla ricerca di clausole sempre più stringenti per imbrigliare il mercato, e i tentativi, anche questi sempre più raffinati, di aggirare queste stesse regole da parte delle diverse case produttrici. Si tratta in ogni caso di lavorare tra le pieghe, frugando tra le distorsioni e gli spiragli che qualsiasi disposizione può inevitabilmente lasciare aperti. La competizione tra case automobilistiche è fatta anche di questo e sembra veramente di assistere ad una rincorsa infinita tra le legislazioni ed i regolamenti sempre più dettagliati da un lato e le strategie delle case produttrici di automobili che vi ottemperano, magari alterando gli strumenti di misurazione dei dati, cercando di non far saltare i prezzi dall’altro.

Tuttavia, al di là di questo conflitto, sempre più sofisticato, tra livelli di controllo e sistemi di elusione, ciò che stupisce sembra essere proprio l’indignazione. Quell’indignazione che emerge dalle pagine dei quotidiani e chiede la testa un po’ di tutti: dalla dirigenza Volkswagen a quella del capo del governo tedesco. 

Come indica Franco Oppedisano sul sussidiario del 22 settembre i gas di scarico dei motori diesel delle automobili non costituiscono che il 15% di quelli attualmente prodotti e l’accanimento con il quale “l’intellettuale mediatico” si getta sulla preda politicamente sensibile (è chiaro infatti che la Germania vada bloccata nella sua insopportabile crescita) è certamente sospetto. 

Ma non si tratta solo di semplici strategie politiche volte a cogliere l’occasione per delegittimare un partner tanto più detestato quanto più negli ultimi anni si è mosso sulla linea del rigore. Nell’indignazione corale che sembra muovere l’universo dei media si coglie qualcosa di più profondo. C’è la ricerca sproporzionata di una giustizia che, tralasciata in settori chiave della vita sociale (dai massacri che segnalano la guerra a puntate tante volte denunciata da Papa Francesco alle derive di un’ondata di profughi di portata epocale) enfatizza in modo assolutamente sproporzionato comportamenti fraudolenti che, se creano certamente dei problemi, sono comunque risibili rispetto alle tragedie che si stanno scatenando su aree estese del pianeta e che provocano la morte di migliaia di innocenti. 

Tutto sembra svolgersi come se l’attenzione dovesse essere dirottata altrove; come se, in queste stesse ore, non ci fosse una parte non certo irrilevante del pianeta immersa nella notte infinita del conflitto bellico; con la popolazione civile più povera — quelli che non hanno nemmeno la forza per partire — a fare da scudi umani. L’indignazione del mondo civile preferisce alla notte della Siria l’aggiramento delle regole effettuato in pieno giorno da parte un’azienda automobilistica del ricco ed opulento Occidente. Come se le masse di profughi non attraversassero più il Mediterraneo, come se le violenze sulla popolazione inerme non fossero ancora in corso, come se il problema di una guerra a puntate fosse stato immediatamente declassato in un’immaginaria seconda pagina delle nostre preoccupazioni.

Ma anche questa è un’interpretazione secondaria. La verità è ben più amara: visto che non si è in grado di imbrigliare e fermare le tragedie, tanto vale indignarsi per altro. Per tutto ciò che abbiamo la sensazione di poter controllare, magari con dei computer ancora più sofisticati e con regole ancora più radicali e vincolanti. Vale la pena indignarsi per ciò su cui possiamo intervenire che per tutto quello che, per quanto immensamente più grave, ci vede sconfitti e drammaticamente impotenti.

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