Il “2015 Family Index”, indagine a cura dell’organizzazione internazionale InterNations, ha individuato il livello di gradimento dei genitori stranieri a proposito del sistema educativo e del sostegno che lo Stato dà alle famiglie nelle nazioni in cui vivono. Nella classifica l’Italia risulta al 32esimo posto, dopo Paesi come Uganda, Costarica e Bahrein. La ricerca mette in luce un aspetto che l’attuale, pur importante, dibattito sulla natura della famiglia rischia di oscurare: il misconoscimento del suo ruolo nel sistema socio-economico dell’intero Paese. Il problema riguarda diversi aspetti, innanzitutto quello demografico, come molti economisti denunciano. L’Italia è uno dei Paesi al mondo in cui nascono meno bambini: 509mila nascite nel 2014, il livello minimo dall’unità d’Italia (1,39 bambini per famiglia). Anche gli immigrati, da qualcuno considerati risorsa in questo senso, si stanno progressivamente adeguando al corso italiano. In prospettiva quindi diminuirà ancora più drasticamente il numero di chi lavora rispetto a quello di chi andrà in pensione.

Che la famiglia sia il centro della realtà socio-economica è evidente anche per altri aspetti, basta pensare a quanto i genitori investano per mantenere e istruire i figli. Se si pensa che in Italia ci sono più di due milioni di giovani tra i 16 e 28 anni che non lavorano e non studiano (i cosiddetti “Neet”), si capisce l’entità della spesa che non è del tutto rimborsata anche quando si vada in scuole e università di Stato.

Terzo aspetto, il risparmio: la famiglia italiana ha nel mondo il più alto tasso di risparmio rispetto al reddito.  Questo ha portato a un altro vantaggio non indifferente: mentre gli Usa hanno fatto esplodere una crisi mondiale per via di artifici finanziari nati per dare una casa ai meno abbienti (senza riuscirci), il 75% degli italiani ha una casa di proprietà, anche grazie all’articolazione virtuosa tra famiglie, cooperative, sistema bancario, con enormi aspetti positivi sulla stabilità della popolazione.

Infine la difesa delle fasce deboli: a fronte dei crescenti tagli al sistema di welfare è la famiglia a farsi sempre più carico della cura di portatori di handicap, malati e anziani, garantendo loro una qualità di vita altrimenti inaccessibile.

Come più volte ricordato, lo sviluppo quanto più è generato “dal basso” (quindi dal livello della famiglia) tanto più è radicato nel territorio e stabile nel tempo. Qui è in generale l’importanza del sostegno a questa realtà. Senza inoltre dimenticarsi del suo potenziale contributo alla domanda interna, punto debole dell’economia italiana che, anche se esporta, continua ad avere bassi consumi interni. A differenza della Francia che supportando le famiglie ha aumentato il consumo interno, secondo i calcoli fatti dal professor Luigi Campiglio, alle famiglie italiane sono stati levati 8 miliardi e mezzo di euro dal 1996 al 2012, mentre solo il 3,8% della spesa pubblica è ad esse destinata, la percentuale più bassa di tutta Europa (dati Ocse al 1 gennaio 2015).

Di cambiamenti di rotta nelle politiche per la famiglia, negli ultimi anni, però se ne sono visti pochi. Eppure, ci sono misure divenute ormai improcrastinabili: innalzare la soglia minima del reddito per l’esenzione delle tasse, adeguare le detrazioni all’andamento dei prezzi, dare vita a un reale housing sociale, estendere il sistema dei voucher scolastici e sociali, pensare a un fisco a misura di famiglia riformando la fiscalità, elevare le borse di studio per l’istruzione statale e non statale.

Ci si illuderebbe però se si pensasse che questi pur indispensabili provvedimenti possano bastare a far tornare la voglia ai giovani italiani di fare famiglia, e magari numerosa. La famiglia non è in crisi per attacchi dall’esterno: la crisi viene dal di dentro perché non riesce più a vivere il suo significato. E’ la mancanza del suo valore e della sua consistenza che attanaglia oggi questa realtà. 

Al recente Meeting di Rimini abbiamo potuto assistere a un illuminante incontro sul tema, dal quale è emerso un dato inequivocabile: sia le famiglie separate che quelle che rimangono insieme ma con forti contrasti tra i genitori, producono effetti devastanti sulla stabilità affettiva e psicologica dei figli. Per questo la famiglia, è stato detto, deve ritrovare la sua vocazione di “grembo che ospita la vita in tutte le sue forme e l’accompagna”. E’ un giudizio radicale che mette in discussione la riduzione sociologica (spesso anche in ambito cattolico) della famiglia in cui i coniugi dovrebbero trovare la loro felicità in coppia rinunciando a qualcosa della loro irriducibile personalità.

Come disse Julián Carrón in un incontro organizzato dal Centro Culturale di Milano, in una coppia, ognuno, con il suo limite, desta nell’altro, anch’esso limitato, “un desiderio di pienezza sproporzionato” rispetto alla capacità dell’altro di rispondervi. Da qui, “la rabbia, la violenza, che tante volte sorgono fra gli sposi, e la delusione nella quale vanno a cadere, se non comprendono la vera natura del loro rapporto”: essere compagnia nel percorso verso il destino di ognuno dei due.

Dire questo non vuol dire risolvere magicamente ogni cosa. Aiuta invece a vedere che le difficoltà, la fatica, sono responsabilità nostra e non colpa degli altri, che siano la società o lo Stato disattento. E’ la capacità del singolo di guardare fino in fondo la realtà con quello che essa comporta a metterlo in movimento. Fino al punto di trovare il coraggio di affrontare anche i problemi personali.

Solo se si riscopre questa posizione vertiginosa, qualunque siano le condizioni, marito e moglie possono avere voglia di stare insieme nella buona e cattiva sorte, fare figli, educarli, aiutare vecchi e malati, risparmiare, farsi una casa. In una parola  tenere in piedi la famiglia. Gli interventi economici a supporto ne renderanno più facile l’esistenza con un beneficio enorme per tutta la società.