Una volta, tanti anni fa, prima di provare a scrivere cose serie avevo cominciato a buttar giù una cosa che avrebbe dovuto far ridere. Ero convinto fosse una bellissima idea, anche se in verità non andai mai oltre al titolo: “Per favore dica piano…”.
La storia si sarebbe svolta al tempo del giudizio universale, al momento del mio turno. Provate a figurarvi la scena: siamo lì, miliardi e miliardi di esseri umani di ogni tempo ed epoca, e il Padre Eterno comincia a declamare a voce alta tutte le stupidaggini che siamo riusciti a mettere insieme nel corso della vita, e lo fa davanti a tutti quanti, compresi quelli che ci conoscono bene! Ma vi immaginate che vergogna!?! Tutte le meschinerie, le pusillanimità, debolezze, e soprattutto tutti quei pensieri superficiali ed istintivi, cosi disancorati dalla realtà della vita.
I pensieri, soprattutto i pensieri, perché le parole si sentono e le azioni si vedono, ma i pensieri no — o almeno così crediamo, come quando a scuola eravamo convinti che l’insegnante non ci vedesse mentre facevamo di tutto e di più.
Sono sicuro che il Giudizio non funzionerà così, ma in questi giorni qualunque cosa vedo e sento mi riporta su questo punto: cos’è che ci definisce davvero e fino in fondo? Cosa racconta veramente di noi?
Tanto per cominciare è facile accorgerci che — lo diceva San Paolo — facciamo del male anche quando vorremmo fare del bene. Quando non facciamo disastri — che siano intenzionali o non — facciamo scelte, o scegliamo di non scegliere (che è sempre un modo di scegliere). Per stare sull’attualità, ad esempio noi di qua dell’oceano, in piena campagna elettorale, scegliamo di simpatizzare per Trump o per Hillary, Rubio o Sanders, e voi di là disputate sul Family day e il decreto Cirinnà… Ognuno decide che passi fare, e li deve fare, ma forse uno di questi passi basta a definirci?
Durante il New York Encounter mi sono ritrovato spesso ad osservare le centinaia di giovani e giovanissimi volontari che facevano funzionare la baracca. Come tutte le persone di una certa età mi è molto facile vedere i limiti delle nuove generazioni, la fragilità affettiva, la mancanza di curiosità, l’incapacità di stupirsi… Per non essere scioccamente malvagio ho sempre anestetizzato la questione pensando e dicendo che lo so, non è mica colpa loro, è una mancanza di educazione.
Durante l’Encounter li ho guardati a lungo, questi giovani. I volti erano lieti, gli sguardi vivaci, e lavoravano festosamente. Allora ho guardato quelli più grandi, quelli che conosco bene e con cui lavoro da tanti anni: il rompiscatole, il permaloso, il puntiglioso, l’eterodosso, l’inconcludente, l’ossessivo. E poi ho guardato me stesso. Lasciamo stare… eppure i volti erano lieti, gli sguardi vivaci, e tutti lavoravamo festosamente. E’ stato lì che mi è rivenuta in mente quell’incompiuta “opera giovanile”. Rivista.
Cosa ci definisce di più, il nostro limite o la bellezza del nostro volto quando brilla pieno di gratitudine per un dono inaspettato? Quei volti lieti raccontano la verità dei giovani, del permaloso, dell’ossessivo, di me stesso e tutti gli altri più di qualsiasi altra cosa. Fosse anche una questione di pochi istanti.
Ci sono momenti, incontri in cui tutto si semplifica, tutto comincia a cooperare al bene, nulla di noi è lasciato fuori, nulla va perso. Allora, please, quando verrà il tempo, dica a voce alta di quei momenti in cui il nostro cuore è stato semplice e libero. E nel frattempo, finché siamo qua, diamoci una mano a riconoscere questa Misericordia, a non dimenticarcene perché è questa che dà luce ai volti e ci toglie la paura di essere definiti dalla nostra pochezza. Qualcuno che ci vuole bene, completamente ed incondizionatamente.
Sembra impossibile, e certamente è impossibile spiegarlo a parole.
E’ per questo che la Misericordia si è fatta carne ed abita in mezzo a noi.