Non si è mai potuto compiere con rigore assoluto quell’esercizio che il giornalismo tradizionalmente ci chiede per le feste: una previsione di come potrà essere il nuovo anno. Ogni pronostico su questo 2016, poi, è diventato temerario. Viviamo infatti in un mondo senza alcun centro, alla mercé di sfere – vecchi e nuovi imperi – di diversa grandezza e in cui sembra regnare l’incertezza.
La sfera statunitense, impero maturo, celebrerà le elezioni presidenziali dopo l’era di Obama. Lo farà in una situazione di sconcerto, di cui saranno buona prova le primarie. La salita dei tassi della Fed certifica che la crisi iniziata con il fallimento di Lehman Brothers è alle spalle. Sette anni dopo lo scoppio della bolla dei subprime, dopo aver speso migliaia di miliardi di dollari nel salvataggio del settore finanziario e aver iniettato liquidità, la decisione di Janet Yellen segnala che la ripresa sta accelerando. La prima economia del mondo ha superato una prova difficile. E solamente scelte rischiose in favore di una politica monetaria espansiva l’hanno mantenuta a galla.
L’impresa non sembra però contare molto nella campagna elettorale. Di fatto, il fenomeno Donald Trump si riesce a spiegare solamente con il fatto che una parte rilevante della popolazione bianca si sente fuori dal sistema. Ha la percezione che il miglioramento dei numeri porti benefici solamente agli altri, ha paura del peso degli immigrati (in un Paese costruito dalla gente che veniva da fuori), ha la sensazione di vivere in un’America che non più la sua. Tutti speravamo che Trump, con i suoi messaggi xenofobi, fosse solo un fenomeno passeggero, ma continua a essere in corsa. Sfida i repubblicani e tutta l’architettura istituzionale. Ci sono sempre stati degli outsiders, ma mai così forti. L’ideale sarebbe un duello tra i vecchi cognomi Bush (Jed) e Clinton (Hillary).
Gli Stati Uniti escono dalla crisi stranamente polarizzati, con un progetto nazionale poco chiaro e senza sapere come svolgere il proprio ruolo di impero maturo in un mondo multipolare. Gli errori in Siria o in Egitto, il rapporto con la Russia, anche se Obama può portare nel suo bilancio positivo la questione cubana, sono il migliore esempio della mancanza di un vero disegno complessivo. Se la vittoria di Hillary comportasse il ritorno dei collaboratori di suo marito alla Casa Bianca le cose potrebbero migliorare.
Dall’altro lato del Pacifico, l’altra grande sfera, la Cina, è convinta che il “secolo dell’umiliazione”, cominciato con la Guerra dell’oppio del 1840, sia stato definitivamente superato. Xi Jinping ha costruito un’autentica diplomazia economica che vuole essere alternativa a quella degli Stati Uniti. La Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture è nata con l’obiettivo di mettere in ombra il Fondo monetario internazionale. Il Gigante asiatico ha costruito due nuove vie della seta: una sul tracciato originale, l’altra attraverso l’Africa. Le utilizza per ricavare materie prime ed energia. Torna inoltre a rivendicare la sua egemonia nel Mar della Cina.
L’Impero giallo ha però non pochi problemi. È stata vittima di una bolla immobiliare e del credito e ha già dato i primi segni di rallentamento economico. Nessuno sa se la sua economia deve semplicemente modernizzarsi o ristrutturarsi, se frenerà poco o tanto. Se la crescita del Pil resterà sotto il 5%, gli effetti globali potrebbero essere devastanti, dato che la Cina consuma il 15% del petrolio mondiale, oltre alla metà del rame, dell’alluminio e del ferro. Le conseguenze di una minor domanda di materie prime sarebbero nefaste per i Paesi emergenti.
Ma quale che sia la situazione economica, la Cina comincerà presto a sentire gli effetti dell’invecchiamento della popolazione. È stato appena tolto il divieto di avere un solo figlio, ma questa misura è tardiva. Le donne cinesi non ne vogliono avere più perché lo Stato sociale non paga il congedo di maternità. La grande banca mondiale si è trasformata prematuramente in una sfera invecchiata.
La Russia è un impero antico che continua a reclamare spazio come se fossimo all’inizio del XX secolo. La guerra in Siria le ha permesso di recuperare protagonismo nel Mediterraneo. E riesce, dal Mediterraneo stesso e dal Mar Nero, a stringere in una morsa il suo antico rivale: l’Impero turco. Putin, nonostante la povertà della popolazione, continua a portare avanti il suo piano di riarmo iniziato nel 2010. Ma quanto accaduto in Medio Oriente e Ucraina mostra fino a che punto non si possa sottovalutare il nazionalismo russo.
La Turchia è una sfera di secondo piano che ha un certo peso. Distante da Bruxelles per sua scelta, alleata dei sunniti, porta dell’Occidente, utilizza i rifugiati come arma. Farà sempre il doppiogioco con l’Isis. La debolezza dell’Unione europea ci mette alla mercé dei piani di Erdogan.
La sfera sunnita, guidata dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo, è determinante per comprendere la guerra al jihadismo. I sauditi non staranno a guardare mentre l’Iran, sul fronte sciita, si avvicina all’Occidente dopo l’accordo sul nucleare. Senza l’appoggio degli sciiti non è possibile sconfiggere lo Stato Islamico e non ci potrà essere pace stabile.
Troppe sfere in una danza senza passi chiari. Siamo in un universo in cui è quanto mai necessario il forte ruolo, oggi impossibile, dell’Unione europea. In un cosmo dove il protagonismo della persona è tutto.