È arrivato il momento di pensare da dove cominciare a ricostruire dopo la lunga battaglia consumatisi in Spagna, senza Governo da dieci mesi. È abbastanza chiaro che, salvo sorprese dell’ultimo minuto, alla fine di ottobre ci sarà un esecutivo. Con l’astensione completa o tecnica, i socialisti consentiranno a Rajoy di rinnovare il suo incarico. Allora sarà più evidente che serve altro: un passo avanti della società cosciente della propria responsabilità, con spagnoli capaci di incontrarsi, andando oltre le barriere ideologiche, con l’obiettivo di migliorare l’istruzione e di costruire imprese più produttive.
Il prossimo sarà un Governo debole, con una lunga lista di cose da fare. Tralasciando la risposta politica all’indipendentismo catalano, la cosa più urgente è il controllo del deficit, che supera dello 0,5% l’obiettivo fissato da Bruxelles nel suo ultimo atto di generosità. Quella spagnola è l’economia sviluppata che cresce di più: quest’anno fino al 3%, il prossimo al 2%. Ma occorre contenere la spesa e, soprattutto, aumentare le entrate. Ciò richiede una profonda riforma fiscale. In realtà, le riforme sono collegate tra loro, e mostrano quanto non ha fatto l’ultimo Governo: la riforma fiscale, quella del sistema di finanziamento dei governi regionali, quella delle pensioni (non più sostenibili con le sole tasse, per cui occorre aumentare l’età pensionabile) e una seconda del mercato del lavoro.
E la disoccupazione? Non è forse l’emergenza in una Spagna dove ci sono 4,5 milioni di disoccupati e un tasso di senza lavoro vicino al 20%? Con queste cifre si può parlare di fine della crisi solo perché il Pil cresce del 3%? Difficilmente lo si può fare. Il ritmo di creazione di posti di lavoro nell’ultimo biennio è stato notevole, l’occupazione è cresciuta del 3% (500.000 posti di lavoro all’anno), ma ci vorrebbero otto anni eccezionali per arrivare alla piena occupazione. L’anno prossimo l’economia non crescerà del 3% e i disoccupati diventano sempre più inoccupabili. Parte della generazione che non si è formata durante il boom immobiliare è tragicamente perduta.
La sfida di creare lavoro forse è l’esempio più chiaro che non basta avere un Governo per uscire dalla crisi. Più che mai occorre il protagonismo della società. Per ridurre la disoccupazione serve migliorare l’istruzione e aumentare la collaborazione delle imprese: due obiettivi che non si ottengono intervenendo solo dall’alto.
La sfida mette la società dinanzi alle sue contraddizioni. L’87% degli spagnoli crede che la situazione politica sia negativa. Ma questo non è servito ad aumentare la partecipazione alla vita pubblica: a pochi importa di fare qualcosa per migliorare la situazione. In Spagna solamente il 29,2% della popolazione fa parte di una qualche associazione, contro il 42,5% della media Ue.
Più partecipazione e più collaborazione. L’istruzione è diventata una campo di battaglia: non solo per l’atteggiamento dei partiti. Il recente confronto tra le associazioni dei genitori progressisti e conservatori a proposito dei doveri mostra la profonda divisione esistente. Bisognerebbe ripartire affrontando le necessità concrete della scuole: miglioramento delle abilità di base, avvicinamento al mondo delle imprese, integrazione sociale, ecc.
L’esigenza di una maggior collaborazione è determinante anche nel mondo delle imprese. La produttività spagnola è più bassa di quelle tedesca, francese e britannica. L’80% del lavoro si concentra in piccole imprese. Per aumentare la produttività è necessario che queste aziende aumentino la loro dimensione. E per essere più grandi hanno bisogno di un quadro normativo che non le soffochi, che non guardi con sospetto agli imprenditori. Lo Stato deve eliminare barriere, facilitare la creazione e la crescita delle società con poche regole chiare. Ma la questione essenziale è probabilmente di tipo culturale: le imprese non cresceranno se non supereranno un individualismo che impedisce di collaborare con le altre. Collaborare porta a imparare a lavorare, ad arricchirsi, ad aumentare la fiducia. Soli si lavora male, avere fiducia nell’altro è un esercizio più che ragionevole. Ma il cambiamento non arriverà dall’alto.