E’ una delle pause più lunghe che la Bibbia serbi nelle migliaia di pagine in cui tratteggia Dio coi suoi misteri: “Gli altri nove dove sono?” (Lc 17,11-19) Una sorta di solitudine affligge il Cristo: è la mancanza di una compagnia, gli manca l’uomo. Era capitata la stessa cosa al Padre, e la reazione fu la stessa: “(Adamo), dove sei?” (Gen 3,9). L’amore è un signore: non chiede “Cos’hai fatto? Dove ti sei ficcato? Ingrato: dopo tutto quello che ho fatto per te”. Nessun astio, solo una questione d’interesse, un’intimità: mi manchi. Nessuna domanda è mai indiscreta: le non-risposte, a volte, lo sono. Il Figlio dell’Uomo conosce a menadito gli uomini dall’eternità: vivendoci assieme, però, è come se avesse guadagnato il loro lato ordinario, il romanticismo non è roba sua. Non s’aspetta nulla in cambio: “senza-pretese” è il soprannome del suo amore che non è disposto a mutare, costi quel che costi. Il ritorno di un grazie spontaneo, però, farebbe felice anche il Cielo: “Non si è trovato nessuno all’infuori di questo straniero che tornasse indietro a rendere gloria a Dio?“.

Guariti, sono tutti tornati ai vecchi mestieri e passatempi d’un tempo. Nel mentre della malattia, i congiunti fendevano l’aria chiedendo loro di sognare per soffrir di meno: “Cosa faresti se, d’improvviso, tu guarissi?”. Era un piacere, una sorta di palliativo della malattia, immaginarsi amanti, commercianti, guerrieri. Al bar, in cantina, a far gli uomini-immagine. Scarnificati dalla lebbra, a ciascuno in petto ardeva di poter fare l’impossibile, l’esatto contrario di ciò che invece erano costretti ad essere: gl’immondi, gli impuri, gli schivati. La pietà defunta a dieci metri di raggio dal loro corpo.

Un giorno, improvviso, l’inimmaginabile s’avvera. La malattia, sovente, è il paese degli incontri: “Appena li vide, Gesù disse loro: ‘Andate a presentarvi ai sacerdoti’“. Diventa il paese di Dio: a guarirli è il piglio d’una voce-medicinale, la prescrizione è sempre quella di riallacciarsi le scarpe, l’aspettativa è che, camminando, s’accorgano d’essere stati sanati: “La vita di ognuno può starsene descritta dentro qualche cammino fatto a piedi” (E. De Luca). S’alzano, loro che per anni erano stati dei cadaveri arenati sulla spiaggia del mondo. S’accorgono d’essere stati sanati: se ne vanno ciascuno per i fatti suoi. A dar forma alle vecchie chimere sognate nel letto d’ospedale.

A tornare è “nessuno all’infuori di questo straniero?”. E’ un samaritano di brigata, un raddoppio di iella, un doppio-salto-mortale: lebbroso e foresto. Alla domanda del Cristo — “Dove sono?” — il samaritano non risponde. Anche lui era uno di quei dieci pesci-cadaveri arenatisi sulla spiaggia e ributtati in mare: gli parve spontaneo, dopo tutto quello che Cristo aveva fatto per lui, ritornare a dire grazie. In quell’andata-con-ritorno c’è tutta la sua timida fede: quei passi che tornano sono la libera risposta all’amore del Cristo, che giocò d’anticipo. Che, con un raddoppio di sorpresa, gli accredita pure la salvezza: “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato“. 

Grandezza di Dio: la sua specialità non è quella di salvare l’uomo, lo vuol mettere in una condizione tale per cui inizi a pensare alla propria salvezza. A guarirlo è stata una parola, a salvarlo un gesto-di-ritorno: “La cosa sorprendente di una rivelazione è che, malgrado la prova provata, si continua a essere liberi. Liberi di non vedere quello che è successo. Liberi di darne una lettura riduttiva. Liberi di allontanarsene. Liberi di dimenticarla” (E. Schmitt).

Le altre nove vite sono riprese esattamente da dove s’erano interrotte: che nessuno sia mai forzato a rendere-grazie all’Amore. La lebbra altro non fu che un infausto intoppo, un’infelice sposalizio, una pagina da voltare per far presto a dimenticare: liberi addirittura d’andare a dire che ci siamo guariti da soli, liberi di negarlo. Potenza della Rivelazione: Cristo, neanche oggi, alza la voce. Il Regno di Dio non è quella sorta di avventura che gli amici stan sognando. E’ già qui, così piccolo che quasi nessuno s’accorge. La percentuale è di uno-su-dieci.