Stagione di monumenti e di principi in Russia: nel giro di un mese o poco meno, due grandi monumenti sono stati inaugurati e altri ne sono stati annunciati. Prima è stata la volta di Ivan il Terribile a Orel e poi quella di san Vladimir a Mosca; tra sabato e domenica è venuto infine l’annuncio che per il 2021 si erigerà tutta una serie di monumenti a sant’Alessandro Nevskij (vincitore dei cavalieri teutoni e degli svedesi), in occasione del suo 800° anniversario. Qualcuno, a incorniciare una lunga serie di polemiche, ha commentato: “Ancora principi!”. Si potrebbe discutere a lungo su queste polemiche che in qualche caso sono più che giustificate, altre volte sono comunque degne di riflessione e altre ancora forse sono soltanto inutili.
Nel caso di Ivan il Terribile sembra in effetti che non ci sia molto spazio per discutere; come ha detto un noto pubblicista su uno dei portali ortodossi più prestigiosi ed equilibrati (Pravmir: Ortodossia e mondo), il personaggio è davvero uno dei più ricordati nelle antiche vite di santi russi ma, fra stragi, omicidi compiuti (tra cui quello del figlio) e omicidi commissionati (come quello del metropolita Filipp di Mosca), lo è più per i suoi crimini che non per le sue virtù; e così sarebbe stato decisamente meglio lasciarlo ancora al giudizio degli storici.
Diverso dovrebbe essere il caso per il principe Vladimir, il battezzatore dell’antica Rus’, ma anche qui non sono mancate le polemiche; non sul principe in quanto tale, che santo lo è per davvero, ma sul contesto e sul significato politico dell’evento. E sono state, sono ancora, polemiche roventi. C’è chi ha avuto da dire sulla statua un po’ troppo “monumentale” e forse esagerata nella cornice della piazza in cui è stata eretta; ma poi, più seriamente, c’è chi ha polemizzato sulla volontà di “scippare” Vladimir all’Ucraina (perché in effetti ai tempi del battesimo dell’antica Rus’ Vladimir era principe di Kiev); e soprattutto c’è chi ha aggiunto che in questo modo il Vladimir che regge oggi il Cremlino trasforma san Vladimir nel suo patrono spirituale.
Sono osservazioni che hanno una loro ragione, ma non portano molto lontano, soprattutto, se ci fanno dimenticare qualcosa di più essenziale e ci fanno credere che il problema di un monumento, o di qualsiasi altra cosa, oggi, sia quello di avere ragione e, ciò che più conta, di averla contro qualcuno.
È la “sterile atmosfera” in cui viviamo, all’est come all’ovest, l’atmosfera generata dalla ricerca di un nemico rispetto al quale avere ragione, come se senza nemici non si potesse più vivere. Quasi cinquant’anni fa Solženicyn aveva già denunciato questa atmosfera: “Cosa fareste senza “i nemici”? Senza “nemici” non potreste addirittura più vivere, perché l’odio, un odio che non la cede in nulla all’odio razziale, è diventato la vostra sterile atmosfera. Ma in questo modo si perde il senso dell’umanità, una e indivisibile, e si accelera la sua rovina.
Ci siamo così abituati a questa logica che non sappiamo più concepire la stessa affermazione della verità se non come uno scontro con un qualche nemico o comunque come qualcosa che ha bisogno di un nemico per potersi esprimere, quasi che la rinuncia allo scontro significhi la rinuncia a dire la verità, là dove le cose sono molto più semplici: la verità può e deve essere detta, ma non perché io o il mio partito possiamo aver ragione su qualcuno; più semplicemente la verità può e deve essere detta perché io possa avere qualcosa con cui confrontarmi e a cui rispondere, perché io possa vivere nella verità.
Era questa la logica del dissenso ai tempi dell’Unione Sovietica, quando i dissidenti, prima di opporsi a qualcosa, ponevano un’affermazione di vita e di verità e, non a caso, invece del termine dissenso, preferivano un più positivo “diverso pensiero”.
È questa la cosa più essenziale che non si dovrebbe mai dimenticare ed è quello che con molta semplicità, ma anche con molta precisione, ha fatto la vedova di Solženicyn all’inaugurazione del monumento a Vladimir, quando ha pronunciato un discorso in cui non ha fatto polemiche e non ha accusato nessuno, ma ha richiamato tutti a porsi davanti alla verità rappresentata da san Vladimir, pensando innanzitutto a cosa significava quella verità per ciascuno e per tutti, per quelli che l’ascoltavano ma innanzitutto per lei che parlava, pensando e dicendo che san Vladimir doveva essere guardato come l’esempio della forza trasfigurante del cristianesimo, di una forza che aveva portato innanzitutto lui – e quindi può e deve portare poi ciascuno di noi — a guardare nella propria vita, a vedervi il male e a condannarlo, lasciando così al bene la libertà di manifestarsi. “Questo — ha continuato allora Natal’ja Solženicyna – significa rispettare la propria storia. Essere orgogliosi delle realizzazioni del nostro popolo, dei suoi eroi e dei suoi giusti. Ma significa anche avere l’onestà e il coraggio di condannare il male, di non giustificarlo e di non nasconderne sotto un tappeto la memoria così che nessuno possa più vederlo: in questa maniera non faremo mai pulizia in Casa nostra. Col battesimo di Vladimir la Rus’ ha assunto una fede secondo cui: “Dio non è nella forza, ma nella verità”. È a questo comandamento che dobbiamo essere fedeli. È così che custodiremo le elevate tradizioni e il luminoso spirito della nostra Patria; e da questo dipende se essa avrà o meno un futuro degno”.
Nessuna opposizione, ma con quanta chiarezza è stato detto dove sta la verità: non nella forza, in un orgoglio sbandierato contro qualcuno, ma in uno spirito che offre, in primo luogo a me, la possibilità non di avere ragione ma innanzitutto di vivere; e quindi certo, anche di dare ragione di questa vita. Solo che questa volta la ragione verrà data non contro qualcuno ma sempre e soltanto per tutti.