Dieci giorni dopo le elezioni americane, la domanda principale resta sempre perché i “forgotten men”, cioè gli uomini dimenticati, hanno votato per Donald Trump. In realtà appare sempre più evidente che il sistema capitalistico ha portato negli ultimi anni a crescenti diseguaglianze tra ceti che la società non riesce più ad accettare. Si presenta ancora una volta il problema secolare di coniugare la creazione di ricchezza con una distribuzione che sia la più equa possibile.
Se l’economia è fatta dagli uomini e per gli uomini, la cosa principale da comprendere è che le persone sono la vera risorsa, non solo da tutelare, ma da riconsiderare tra i protagonisti della società e quindi della ripresa economica. Non capire questo fatto significa provocare inevitabilmente disagio, rabbia, risentimento che sconfinano in quello che oggi viene genericamente chiamato populismo.
Nel boom industriale italiano degli anni Sessanta, si poteva vedere il lento ma costante passaggio da un’economia prevalentemente agricola e storicamente povera a uno sviluppo produttivo basato prima sull’industria e poi sui servizi. Fino al punto che l’Italia entrò nel G7.
Una stupenda canzone di Enzo Jannacci, Vincenzina e la fabbrica, ambientata nella Milano di quegli anni, racconta la vita di una donna tagliata fuori dal mondo produttivo, quasi incatenata al ruolo di casalinga e sposa-ragazzina, che dai cancelli osservava la fabbrica dove lavorava suo marito. La fabbrica era la speranza dell’emancipazione, il progetto di una vita migliore per sé e i propri figli, ottenuta con duro lavoro e lotte sindacali e politiche.
Per più di trent’anni questo processo è sembrato un dato di fatto inarrestabile in tutto il mondo. Poi è seguita la deindustrializzazione, l’uscita dal fordismo, l’irruzione della new economy che hanno spinto il modello capitalista verso una globalizzazione a tappe forzate. In più è stata trascurata l’economia reale a vantaggio di un sistema finanziario completamente senza regole. Questo ha cambiato il mondo.
Mentre le grandi fabbriche cominciavano a chiudere, tante produzioni si trasferivano nel Terzo mondo per risparmiare sul costo del lavoro, facendo così un autentico dumping. Arrivando a usare gli immigrati per sostituire manodopera più sindacalizzata e specializzata. Che cosa è rimasto della classe operaia che negli anni Settanta, vezzeggiata da tutti, si candidava ad andare “dritta in paradiso”? È stata semplicemente dimenticata. Le disparità sociali sono più profonde adesso nel Terzo millennio, di quanto lo fossero nel XIX secolo.
Oggi l’1% della popolazione detiene più ricchezza del resto di tutta la popolazione mondiale. Uno studio effettuato da Branko Milanovic, economista della Banca Mondiale basato sui dati del Luxembourg Income Study, documenta come la quota di reddito della classe media (dal 30 al 70 percento della distribuzione del reddito) è diminuita negli ultimi 30 anni fino a quattro punti di Pil nei principali Paesi sviluppati (in particolare da uno a quattro a seconda del Paese).
Con la “società affluente”, cioè opulenta, i “blue collar” americani, così come quelli europei, hanno perso reddito, sia a vantaggio dei ricchi, ma anche dei cittadini dei Paesi emergenti e in via di sviluppo. A questo si è unito un impoverimento di quella che è chiamata la classe media. Qualche esempio concreto: negli Stati Uniti, nel periodo che va dal 1980 al 2013, il loro reddito è calato dal 32 al 29 per cento circa; nel Regno Unito dal 33 al 32 per cento; in Germania dal 34 al 32 per cento; in Canada dal 33,5 al 31 per cento.
Queste due classi dimenticate, ritenute non più politicamente rilevanti, sono state abbandonate sia dalla sinistra che dal riformismo centrista. Tutti hanno abbracciato il modello di sviluppo dettato dalla finanza e dal grande capitale delle multinazionali, pensando che fosse sufficiente aumentare la ricchezza da qualche parte, affidandosi al mercato e demonizzando qualsiasi intervento pubblico in economia.
Di fronte a questa realtà, è significativo il fatto che le prime cento imprese americane hanno finanziato Hillary Clinton, insieme a quelle lobby di potere che sono ormai i grandi giornali (380 contro 7). Persino la politica sociale ha dimenticato i “blue collar”. In più, pochi ricordano che per finanziare l’Obamacare e la salute per tutti, le compagnie assicurative hanno alzato i costi per la classe media di 3-4 volte. Se si pensa al lavoro perduto e alle banche che hanno ristretto il credito dopo la crisi finanziaria, come sorprendersi dell’urlo che diventa un voto ai Trump e ai partiti xenofobi? È un urlo disperato, un “urlo di Munch”, che si rivolge ai movimenti populisti, basati su semplificazioni e banalizzazioni, incapaci di dare risposte al mondo attuale.
Non c’è più una risposta alla domanda che viene dal profondo della società. Qual è infatti il suo principale bisogno? Riconoscere il desiderio delle persone di lavorare, di esprimersi, di costruire, di essere protagoniste.
Vincenzina non è solo una donna degli anni Sessanta. È una persona che si accorge dell'”odor di pulito” e della fatica che si fa in fabbrica, a cui dispiace se “sto Rivera ormai non mi segna più”, che percepisce la tristezza della vita quotidiana, che si mette un foulard ormai fuori moda. Ma nonostante tutto, Vincenzina ama la fabbrica. Ama la realtà che dà lavoro, non guarda quello che manca, ma quello che le dà la possibilità di vivere e andare avanti. Questo è ciò che le classi dominanti hanno dimenticato: il cuore delle persone con il loro irriducibile desiderio di bene, di un destino felice, pieno di bellezza, bontà, verità.
Il compito da affrontare è difficile, necessita di tempi lunghi, apparentemente è senza risultati immediati.
Chi già vive dialogando con il suo cuore, può ascoltare l’urlo di questi vinti, camminare con loro, riscoprire che cosa fa amare, lottare e cercare senza sosta un futuro migliore. Dopo la rivoluzione industriale nacquero in tutto il mondo movimenti, corpi intermedi, sindacati, partiti popolari, per cercare nuove strade per la giustizia, l’uguaglianza e il benessere per tutti. È il compito che ci aspetta.