Il premier Matteo Renzi, poche ore dopo il nuovo sisma in Centro Italia, è andato in video per dire. “Ricostruiremo tutto, le risorse ci sono, l’Europa deve darci una mano” (l’ha ripetuto lunedì sera, dopo un Consiglio dei ministri straordinario). Può essere uno slogan banale, anche un po’ a rischio-cinismo. Ma può essere anche un’intera politica economica, alta e sfidante. Dipende.
Una grave discontinuità negativa in un ciclo socio-economico – prodotta da una guerra o da un disastro naturale – è sempre fonte potenziale di una discontinuità di segno opposto. Il secondo dopoguerra mondiale è ancora vivo nella memoria profonda di molti europei e asiatici: non solo di quelli che hanno visto le case crollare o bruciare, ma soprattutto di quelli che hanno vissuto nelle case ricostruite (nelle fabbriche, nelle università, nei musei, nelle chiese). Dipende: da come si osserva un mucchio di macerie, da come ci si mettono le mani dentro. Da chi c’è intorno a darti una mano, da come tu gliela chiedi.
Il lungo terremoto di Amatrice e Norcia ha devastato un’area ampia del Paese ed è stato avvertito da un capo all’altro della penisola. Non ha avuto torto il governo a dichiarare un’emergenza “della nazione”: a considerare questa emergenza non meno grave rispetto alla ripresa economica che non c’è o alle ondate migratorie. E’ un’emergenza che obbliga il Paese a pensare più in profondità e più in fretta, a rimboccarsi le maniche ma anche l’immaginazione. A separare subito i giudizi dai pregiudizi: ad esempio che i circoli opachi e viziosi fra politica, burocrazia e criminalità organizzata stronchino sul nascere ogni chance per grandi piani-Paese.
Ricostruire case, fabbriche, infrastrutture, alberghi, monumenti e chiese dopo un grave sisma e in una zona che resterà ad alto rischio sismico mette alla prova un intero sistema: la sua forza economica, imprenditoriale, scientifico-tecnologica, politico-istituzionale; la sua capacità civile di governare processi complessi. San Francisco è stata rasa al suolo e da un secolo attende The Big One sulla faglia di Sant’Andrea: ma per scacciare la paura ha costruito il Golden Gate è poi in periferia è nata la Silicon Valley.
Ricostruire “i borghi dellAppennino” non è solo una scelta di solidarietà verso decine di migliaia di connazionali e verso la storia di tutti. E’ una scelta che conduce a chiamare in campo migliaia di giovani freschi di studi in ingegneria, geologia, conservazione dei beni artistici, management turistico. E a mettere in gioco altri migliaia di giovani che non sono laureati ma sono spesso egualmente disoccupati. Vuol dire pensare e costruire un Made in Italy 2.0 come sviluppo del primo: la qualità dell’accoglienza turistica (fatta di tutela ambientale e valorizzazione dei beni culturali) può e deve raggiungere quella delle Quattro Effe (food, fashion, furniture and Ferrari). Non è possibile non ripartire da qui – anche da qui – per rimarginare il 10% di Pil perso dopo il 2008 e la produttività smarrita in molti settori. Il terremoto non ci voleva proprio, ma il post-terremoto può svegliare o risvegliare.
Ricostruire antichi tessuti di convivenza civile che rischiano improvvisamente di estinguersi può non essere incompatibile con la ricerca di soluzioni reali per l’assorbimento di decine di migliaia di migranti. Se l’accoglimento non è in discussione, allora è chiaro a tutti che l’inclusione passa per la formazione e il lavoro (possibilmente non solo un “lavoro socialmente utile”). Nella prima metà del ventesimo secolo milioni di italiani sono emigrati fuori Italia e hanno alimentato boom altrui. Nella seconda metà sono emigrati entro i confini del Paese e ne hanno alimentato il primo boom .
Ricostruire un pezzo di Azienda-Paese con strategie credibili – per obiettivi e strumenti definiti – vuol dire anche poter sfidare la Ue al cuore del suo conflitto politico-economico interno. Significa rilanciare l’uso della leva fiscale proprio quando gli stimoli monetari stanno per essere archiviati come un insuccesso e le pressioni anti-austerity non giungono più solo dagli estremismi populisti.
Ricostruire l’Italia centrale vuol dire tentare di rimettere in moto i risparmi degli italiani in modo diverso dal rastrellare contanti nelle cassette di sicurezza. Significa provare a sgelare la diffidenza di chi ha visto e sofferto i terremoti dei mercati e oggi vive lo strano limbo dei tassi zero. Vuol dire richiamare capitali internazionali non con allodole fiscali né con svendite a prezzo di saldo di pezzi di Azienda-Paese. E se l’Italia ha ancora un po’ di tradizione bancaria e la vuol rivendicare, questo è il momento.
Costruire una politica economica per il dopo-terremoto e su di esso vuol dire pensare un “grande evento” all’estremo opposto delle Olimpiadi. Ormai da molti decenni, i Giochi sono istanti astratti che lasciano macerie. Una politica economica per il dopo-terremoto è lo sforzo di rimuovere le macerie e riannodare le fila di vite concrete.