Finisce l’anno della misericordia. Evidentemente non può finire il bisogno che ne abbiamo e la necessità di persone che ce la testimonino in maniera credibile. Martedì scorso al Centro Culturale di Milano Nijole Sadunaite, una vispa settantottenne lituana, ha raccontato in una sala strapiena la sua storia. Storia di un coraggio imparato in famiglia da un padre che non aveva paura di andare pubblicamente a messa anche quando questo poteva comportare l’arresto, coraggio condiviso da un intero popolo che ha visto la propria terra invasa dai sovietici, poi dai nazisti, poi ancora dall’armata rossa colla quale ha ingaggiato un’impari guerra partigiana terminata, ovviamente, con la sconfitta. Ma la resistenza è continuata con altri mezzi: seminari e ordinazioni sacerdotali clandestini, la trasmissione della fede in famiglia e la solidarietà concreta verso i perseguitati.
Nel 1972 nasce la rivista clandestina Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania, alla quale Nijole collabora attivamente. La caratteristica della rivista è quella di affidarsi completamente al resoconto dei fatti e basta; i fatti stessi – raccontati in modo asciutto con date, nomi e luoghi precisi sono sufficienti a smascherare le falsità propagandistiche del potere sovietico e, soprattutto, a documentare il coraggio dei perseguitati. Ed è proprio a questo punto della storia che Nijole usa la parola “misericordia”: gli esempi di fede eroica non sono anzitutto frutto delle capacità individuali, bensì un dono della misericordia di Dio che non abbandona il suo popolo. Per spiegarsi meglio racconta di quando una squadra di poliziotti è andata in un piccolo paese di campagna con lo scopo di montare falsi capi d’accusa contro il parroco troppo intraprendente; prendono tre ragazzine quindicenni, le portano nei propri uffici e le minacciano di arresti e torture (“I ratti vi mangeranno le ossa in prigione” specifica la Sadunaite) se non firmano una dichiarazione con accuse false al parroco. Che le giovani abbiano resistito impavide a simili pressioni è una grazia della misericordia divina, dice Nijole.
Anche lei è stata arrestata nel 1974 per la sua collaborazione alla Cronaca, processata l’anno seguente e condannata a tre anni di lavori forzati e altrettanti di esilio in Siberia. E anche lei ha da raccontare tanti fatti che attestano la permanente compagnia della misericordia alla sua vita. Come quando è stata drogata con sostanze che abbattono la capacità di difendersi in un interrogatorio; gli sbirri volevano che lei accusasse una sua amica e le dicono: “Conosci la tale?” chiamandola per cognome. Nijole, pur drogata, risponde di no ed è sincera perché quel cognome non se lo ricordava avendo sempre chiamato la compagna per nome.
Sorride, mentre racconta questo episodio e viene voglia di chiederle se non prova odio per chi le ha fatto tanto male. “Ma sono persone per cui Cristo è morto” risponde “e chi sono io per odiarle? No, non le odio, ma vorrei tanto che riconoscessero le proprie colpe. Mi sono documentata bene su quello che funzionari del partito hanno fatto a me e a tanti altri. Ho trovato, per esempio, il documento che attesta che in quel tal giorno alle nove di sera mi hanno dato quella specifica droga e chi l’ha fatto. Purtroppo gran parte di queste persone nega ancora oggi le proprie responsabilità; dicono di aver agito conformemente alle leggi di allora. Io vorrei tanto che si pentissero. Ma non per vendetta, assolutamente. Ma perché senza pentimento nessuno di noi potrà entrare in paradiso e io spero che anche loro facciano come il ladrone crocifisso di fianco a Cristo: pentendosi delle proprie colpe, vengano abbracciati dalla misericordia di Dio”.