Piero, la Resurrezione di tutti

Sta per concludersi il restauro di una delle opere più famose e iconiche della storia: la Resurrezione di Piero della Francesca. Un capolavoro solo religioso? No. GIUSEPPE FRANGI

Sta per concludersi il restauro di una delle opere più famose e iconiche della storia: è la Resurrezione di Piero della Francesca conservata in quello che un tempo era il palazzo del governo cittadino di Borgo Sansepolcro e che oggi è il Museo civico della cittadina toscana. Si tratta del primo restauro per questo capolavoro dipinto circa 550 anni fa: il Corriere della Sera dando la notizia ha rivelato che probabilmente l’affresco era stato dipinto per un’altra parete e che in tempi antichi venne portato sul muro attuale con un trasporto a massello, forse il primo della storia (veniva tagliata tutta una sezione di muro e messa su un telaio).

Ma è comunque certo che quell’opera con soggetto potentemente religioso, venne dipinta per un contesto civile: Piero, che era nativo di Borgo, aveva per un certo periodo di tempo anche ricoperto cariche amministrative nella sua città ed era ben familiare a quel luogo. 

Un’opera religiosa in una sede civile non è certo una rarità nell’Italia di quei secoli. Ma l’unicità di quest’opera, ciò che la rende in termini assoluti e non retorici un capolavoro, è che declina l’immagine religiosa trasmettendo anche una grande messaggio civile. Dipingere la Resurrezione per gli artisti è sempre stato motivo di imbarazzo e difficoltà: si tratta di “inventare” una situazione di cui nessuno ha ovviamente mai conosciuto la dinamica e quindi arbitrarietà e soggettivismo sono sempre in agguato. C’è un rischio di “effetti speciali” dal quale solo i grandissimi sono riusciti a salvarsi. Piero i rischi li ha corsi, perché nella sua Resurrezione l’oggettività dell’accaduto è restituita grazie alla forza di un’altissima idea. 

Proviamo a capire. L’immagine è ben nota: Cristo in posizione rigorosamente frontale, quasi da mosaico bizantino, esce dalla tomba mettendo il piede sinistro sul bordo e imbracciando lo stendardo simbolo della Resurrezione. Ma un grande critico, Michael Baxandall, analizzando l’immagine aveva evidenziato una prospettiva a cui non si presta attenzione: “Possiamo vedere Cristo come eroe in posizione eretta o come un personaggio seduto… una delle ragioni per cui il riguardante era pronto a vedere il personaggio seduto, era l’esperienza pregressa di Cristo in Maestà”. In sostanza il Risorto di Piero incorpora nella sua posa anche la posa del Cristo in Maestà della tradizione medievale. Nell’immagine della Resurrezione Piero insomma condensa tutta l’identità di Cristo, uomo e Dio, facendo tra l’altro leva sulla memoria potente dell’antico Volto Santo custodito nella Cattedrale di Borgo: come nella tradizione dei Volti Santi si tratta di rappresentazione di Cristo crocifisso, ma pienamente vivente. Da lì Piero potrebbe aver derivato l’idea del suo Risorto ad occhi completamente  sgranati. 

Quella di Piero è insomma una Resurrezione spogliata di miracolismi, e quindi resa del tutto verosimile e famigliare agli occhi di ciascuno. E qui si aggancia l’ulteriore valore, pienamente “civile” di questo capolavoro. Perché la scena è ambientata in un meraviglioso paesaggio di colline toscane (dobbiamo immaginarcele appena dipinte…) che si stagliano su un cielo se possibile ancora più bello, striato di nuvole che si allungano in modo molto pacificante e s’accedono di riflessi del sole: un paesaggio ben noto per chi guardava quell’opera. Lo stesso sepolcro da cui Cristo esce è un sarcofago di grande bellezza, per equilibrio ed eleganza, sintesi formale di una lunga storia artistica che dai romani era approdata al nostro 400. Quel paesaggio, reso così prezioso dal fatto di “accogliere” la Resurrezione, era lo specchio dei paesaggi che circondavano Borgo ma anche dei mille altri paesaggi che fanno dell’Italia qualcosa di unico al mondo. Piero con forza intellettuale e con amore fa quindi anche sintesi di ciò che è l’Italia. Ce la mette davanti agli occhi. Ce la spalanca in tutta la sua meraviglia. Come non aver cura, come non imparare ad amare un contesto in cui la Resurrezione sembra essere di casa? Una domanda che valeva per i governanti di Sansepolcro, e vale ovviamente molto di più oggi per noi che rischiamo di buttar via questo tesoro.

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