Col suo nome volle che il mondo tutto sapesse di che pasta era fatto il suo pontificato. Fattosi chiamare Francesco — prendendo a prestito la stravagante avventura del giullare d’Assisi — di quel giovane infiammato ne sposa tutt’oggi stile, sembianze. Francesco, il celebre protagonista di una delle più ardite sfide della catechetica cristiana: quella d’evangelizzazione di un lupo. A Gubbio: “Al tempo che santo Francesco dimorava nella città d’Agobbio, nel contado apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animale, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesso s’appressava alla città”. 

La Basilica di Pietro gemellata con la città di Gubbio: il Giubileo dei Carcerati novella reinterpretazione della pagina de I Fioretti di Tommaso da Celano. Francesco, papa, come Francesco, il santo giullare: “Venite a me voi tutti che siete carcerati — oppressi e oppressori — io vi darò casa”. Una basilica, il cuore della cristianità, come casa e cagione d’incontro tra Dio e l’uomo. Tra miseria e misericordia: “Io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed egli ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più”. Come la madre ch’è sempre disposta a riaccendere la pace tra due figli in bisticcio-pasticcio tra loro.

L’invito porta la data d’inizio giubileo. Erano nel cuore del Papa già nell’ora prima dell’annuncio: “(I detenuti) ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa”. Ch’era l’annunciazione del frate alla belva: “Io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco senza dubitare di nulla, e andiamo a firmare questa pace al nome di Dio”. 

I lupi fan paura, i detenuti anche: mettere pace nei loro cuori è rimettere nella pace l’intera società. Loro l’hanno tradita facendo del male, ch’è sempre una brutta e agitata faccenda: la loro droga quotidiana. Vite-drogate dentro cui Francesco scorge traccia del riguardo di Dio: vite-graziate, dunque. Ecco la misericordia di cui abbisogna il lupo: una voce che torni ad insegnargli come coniugare i verbi al tempo futuro, il tempo della speranza. Il male è un verbo al passato, quello remoto: “L’uomo peccò”. La grazia, parente prossima di clemenza, è un verbo al futuro-semplice: “L’uomo risorgerà”. Tra i due, tutto un lavoro di rammendo e di riparazione della memoria, di verbi coniugati al tempo presente, quello della galera: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,3). Mica svendita totale: è il caso serio della risurrezione. 

Dalla foresta al contado di Gubbio, dalla cella di galera alla Città Eterna: “Vieni qui, frate lupo, ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona”. Anche il contrario: “Udite, fratelli miei: frate lupo che è qui dinanzi da voi, si m’ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, voi gli promettete ogni dì le cose necessarie”. I galeotti non fan più paura, se li amate: la traduzione è di un papa-francescano. Ad arricchirsi, stavolta come allora, è l’intera cittadinanza: accertarsi che nessun errore è mai più grande di chi lo firma, è alzarsi la mattina mettendo in conto di poter sbagliare. 

Per chi sbaglia, ieri come oggi, varrà la pena non ripetere il vile peccato di Giuda: convincersi che il male fatto superi in altezza la capacità della misericordia divina. Chi crede, creda al finale di frate Tommaso: “Il lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio”. Senza arrecare male, senza che nessuno gli arrecasse del male. Tutti attori protagonisti nello spettacolo più eccitante, quello dell’amore che perdona senza scusare il male fatto: «Dopo due anni frate lupo si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono». Si dolsero perché il lupo s’era fatto presenza intima: benvenuto, ladrone, in Cielo. A Dio un atto buono basta: s’attaccherà a quello.