Il “decreto bancario” in arrivo – non solo sul salvataggio Mps – non si profila come un mero passaggio tecnico-amministrativo: sarà invece un atto politico-economico di primo livello, immediato banco di prova per il nuovo governo Gentiloni. Potrà limitarsi a creare condizioni minime di sopravvivenza minime per una singola banca in dissesto definitivo; oppure potrà impostare quella strategia di stabilizzazione a medio termine del sistema bancario nazionale che il governo Renzi ha ripetutamente mancato di elaborare e realizzare.
Il 2016 delle banche italiane è forse più nipote che figlio 2008 a Wall Street. Neppure il malato terminale Mps ha sofferto l’infezione diretta della finanza derivata. È crollato invece per almeno tre effetti collaterali: l’acquisizione di AntonVeneta nel 2007, a condizioni poco sostenibili (e autorizzata da Bankitalia con criteri ancora molto fiduciosi nella forza del mercato); le ricadute recessive della crisi finanziaria, di massima gravità in Europa e in Italia; non da ultimo l’entrata in funzione della supervisione bancaria unificata presso la Bce nell’eurozona (il “no” a una breve proroga per la ricapitalizzazione di Siena ne è stato l’ultimo dettaglio critico). Una quarta debolezza è poi emersa non solo nel dissesto del Monte, ma anche in quelli di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, di Banca Etruria e delle altre tre banche “risolte” un anno fa: una gestione poco rigorosa dei crediti, non sempre orientati alle imprese produttive ma spesso dirottati su speculazioni immobiliari e finanziarie estranee alle ragion d’essere di banche di territorio.
È su questi temi che il “decreto banche” dovrebbe quanto meno sollecitare riflessioni corrette presso tutti gli attori del settore bancario italiano: con al centro le due finalità che fino al 1993 la legge bancaria qualificava come “servizio pubblico” (raccolta-tutela del risparmio delle famiglie e concessione del credito all’economia reale).
Il tema della dimensione e del cambiamento strategico: di un grande settore dell’Azienda-Paese: Mps-AntonVeneta è stato un caso sbagliato esemplare (una crescita tardiva strapagata, in parte accettata dalle authority per far rientrare in Italia la banca veneta, oggetto due anni prima della violenta “guerra delle Opa”). Oggi le banche – non solo italiane – devono dimagrire sul territorio e svilupparsi sul terreno digitale, mantenendo un ruolo di filtro attivo ed efficiente fra offerta di servizi finanziari sul web e relazione con una clientela locale.
Il tema della ripresa: il risparmio italiano – nonostante i colpi dei mercati soprattutto alla fiducia degli investitori – e’ ancora un giacimento-Paese. Un sistema bancario non più autarchico ma modernamente nazionale può fare di più per stimolare investimenti (occupazione, nuova imprenditorialità) e in parte anche i consumi.
Il tema dei rapporti fra Italia e istituzioni europee: il terreno bancario – l’unico nel quale l’Europa abbia avviato integrazioni avanzate – ha riservato al governo Renzi insuccessi meno visibili della sconfitta al referendum, meno socialmente caldi di quelli prodotti dall’emergenza-immigrati, ma forse più pesanti per il generale stato di salute del sistema-Paese. L’Italia riparte quasi da zero nella negoziazione delle regole bancarie e nel confronto tecnico-politico sulla loro applicazione .
Il caso Mps, nei fatti, si profila come il primo grande dissesto bancario gestito in Europa sotto la nuova normativa “bail in”. Avverrà all’inizio di un 2017 in cui i fondamentali dell’Europa saranno al vaglio degli elettori francesi e tedeschi (e non è escluso anche di quelli italiani): gli spazi per ridiscutere l’assioma della controllabilità meccanica e burocratica di crisi riguardanti risparmio e credito (carne e sangue di una democrazia economica) ci sono tutti. L’Italia può e deve fare la sua parte.
Non da ultimo: porre il problema tecnico-finanziario dello smaltimento di oltre 300 miliardi di crediti “andati a male” è corretto e urgente (e rimanda al paragrafo precedente). Ma una parte delle sofferenze che l’Italia chiede di poter abbattere a condizioni agevolate nei bilanci delle sue banche non è stata prodotta dalla recessione. Le crisi sono degenerate in banche controllate da Fondazioni (Mps e Carige con enti in posizione di controllo oltre i termini consentiti dalla legge) oppure n Popolari di seconda fascia. Da Siena a Genova, da Arezzo al Nordest: qui la “questione meridionale” (fatale ad alcune grandi e medie banche italiane già vent’anni fa) non c’entra per nulla. È’ evidente che in troppi casi la riforma delle banche pubbliche non ha funzionato (a dispetto dei casi di successo della Fondazioni maggiori dell’Acri) e che la discussa riforma delle Popolari varata da Renzi due anni fa è forse arrivata tardi, imponendo comunque un’omologazione tecnica (Spa contendibile in Borsa) a un pezzo vasto di società italiana come il credito popolare e cooperativo.
Tutti i comparti in gioco sono comunque in movimento. Le Fondazioni stanno sviluppando il protocollo Acri-Governo, con più rigorosi criteri di gestione del patrimonio (con meno rischi di intervento indebito nelle banche partecipate) e di selezione degli amministratori (più “a distanza di braccio dalla politica”). La fusione Banco Popolare-Bpm è stata l’unica “buona notizia” di un 2016 horribilis, ma è arrivata. Le stesse Bcc stanno faticosamente tentando un entrare nel futuro con un gruppo unico, che sorregga le decine di mini-banche locali andate in sofferenza.
Il neo-premier Gentiloni, nel suo discorso di fiducia alla Camera, ha posto questione bancaria e tutela risparmio fra le sue priorità. La politica creditizia, non da oggi, è politica tout court. A Wall Street – durante gli otto anni della presidenza Obama – l’elaborazione intellettuale, politica e tecnica di quanto era accaduto durante i lunghi e multiformi anni dell'”esuberanza irrazionale dei mercati” alla fine è rimasta incompiuta. E il paradosso finale – l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca – ha visto gli “americani dimenticati” dal falò della finanza derivata dar fiducia a un progetto politico che si sta ora ri-popolando di banchieri e votando a una nuova deregulationfinanziaria.
In Europa – nell’ultimo fine settimana – la vigilanza bancaria della Bce ha dato il colpo di grazia a Mps in modo anomalo: con una fuga d notizia all’indomani della proroga ottenuta da Mario Draghi sulla politica di stimolo monetario nell’eurozona, con la consueta contrarietà della Bundesbank. “Questa” Europa non può funzionare: e non è colpa delle banche italiane se i populismi politico-elettorali premono da tutti i lati.