Non sfruttamento ma nuovo lavoro

New economy, gig economy: cambia il mercato del lavoro, ma che fine fanno le tutele e i diritti? Cosa fare per ridare dignità a tante classi di sfruttati? GIORGIO VITTADINI

Non c’è stata solo la globalizzazione e la finanziarizzazione che hanno sconvolto il mercato del lavoro, creando tra l’altro dumping sociale, fiscale, sindacale, salariale (in una parola: guerra tra poveri). Con il fatto che sia venuta a mancare la centralità della fabbrica, ormai dispersa da centrali multinazionali che spesso sembrano “piattaforme spaziali”, è venuta a mancare la solidarietà naturale tra lavoratori, non più affiancati nell’ambiente lavorativo.

Ci sono molti esempi che mostrano come il mercato del lavoro stia cambiando radicalmente.

Pensiamo a tutto il tema della cosiddetta Gig economy (economia dei “lavoretti”), venuta alla ribalta in Italia con il caso dei giovani fattorini di Foodora che hanno scioperato per denunciare la loro situazione di cottimisti sottopagati e senza tutele. A livello internazionale c’è chi propone per questa categoria una forma intermedia, quella di “indipendent worker”: una via di mezzo tra dipendente e lavoratore subordinato. La proposta si basa sulla concessione di un numero di benefit e tutele dei dipendenti, incluso il diritto di associazione, ma senza protezione di compenso orario come una paga base o straordinari.

A proposito di sfruttamento, non è certo la new economy sotto accusa più della old. Basti pensare ai giovani praticanti avvocati che lavorano sottopagati e senza orario e in alcune parti d’Italia addirittura gratis. O al meccanismo dello stage che giustamente è il primo livello di rapporto di lavoro, ma che in molti casi viene pagato pochissimo e diventa un semplice pretesto per avere mano d’opera a costi infimi. Oppure pensiamo al mascherare dietro a flessibilità nuove forme di precariato per avere continuamente persone nuove a cui non dare prospettiva, ancora una volta pagandole il meno possibile. A fronte di professionisti e imprenditori responsabili c’è chi si comporta come un nuovo padrone delle ferriere, utilizzando la situazione di crisi e la domanda di lavoro come occasione per abbattere i costi e fare guadagni oltre ciò che è necessario.

Nel panorama italiano si aggiungono altri fenomeni in continua evoluzione e che evidenziano luci e ombre: andiamo dall’esplosione dei voucher (parliamo di milioni), al biennio 2015/16 per la somministrazione di lavoro (destinato a diventare un triennio), alla costante timidezza del contratto di apprendistato.

Di fronte a svolte epocali di simile portata, che cosa aspetta i lavoratori? Quali diritti dovranno rivendicare e quali battaglie potranno affrontare? La battaglia principale rimane quella della sicurezza del lavoro, che va garantita anche con interventi di politiche sociali e pubbliche.

Inoltre, fatto salvo il principio della contrattazione, che permette di assumere una reciproca corresponsabilità e può essere funzionale a governare il cambiamento in atto, le nuove prospettive di tutela che si stanno delineando sono principalmente tre. 

La prima è quella del welfare contrattuale (o secondo welfare). Con il crescere dei bisogni, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi, parte del salario viene legato a prestazioni quali: accantonamenti nella previdenza integrativa, buoni spese per l’istruzione, servizi di cura e assistenza a familiari, anziani e non autosufficienti. Questo ha sicuramente un vantaggio di costo, perché gli importi corrisposti in welfare hanno un trattamento fiscale di vantaggio. Inoltre affermano un principio mutualistico, finalizzato alla copertura e tutela di situazioni di grave bisogno.

Il secondo aspetto è la formazione. Oggi un lavoratore può considerarsi tutelato nel mercato del lavoro non se ha un contratto più o meno garantista, ma se la sua professionalità è spendibile, quindi occupabile nel mercato. L’unico strumento per favorire e sostenere questa competitività del lavoratore è la formazione e l’aggiornamento professionale. Quindi la contrattazione si orienterà in futuro al fine di garantire l’accesso alle politiche attive, come diritto individuale del singolo lavoratore.

Terzo elemento: la produttività. Parti del salario saranno sempre più legate ad indicatori che misurano il livello di redditività dell’impresa, così da redistribuirne gli incrementi.

La contrattazione delle parti sociali, realizza compiutamente il ruolo dei corpi intermedi: fornire risposte adeguate ai cambiamenti della realtà, con l’equilibrio e la responsabilità che solo dei soggetti di rappresentanza possono esprimere.

Visti i turbamenti creati dalla precarietà del lavoro è quasi inevitabile che col tempo si riscopra l’antica solidarietà. Si sta già presentando infatti la necessità di nuove forme contrattuali e la conquista di nuovi diritti o la riconquista di diritti perduti. Forse è già tardi rispetto alla svolta epocale che stiamo vivendo. Ma se non si risolveranno questi problemi, legati al lavoro e ai diritti, la protesta cosiddetta “populista” contro l’establishment rischia di diventare una rivolta epocale che potrebbe riservare sorprese impensabili sul terreno sociale e politico.

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