— Abbiamo comprato l’albero, l’abbiamo decorato con stringhe di luci colorate e tante scintillanti palline di vetro (rigorosamente di vetro). Abbiamo fatto il presepe (ogni volta diverso) ed anche messo migliaia di lucine bianche sui cespugli davanti a casa, attorno alla porta di ingresso, alle finestre, sul tetto. Anche delle corone con tanto di fiocco a dare il benvenuto. Lo faccio ogni anno, da sempre, da quando ancora bambino ho imparato dai miei genitori che fare presepe ed albero era una cosa bellissima ed anche una forma semplice ed autentica per aiutarsi a vivere questi giorni di festa preparandosi al Natale.
Lo faccio da sempre e sempre di più. La tradizione americana che nella nostra famiglia si è aggiunta a quella italiana sta nelle luci esterne. Ogni anno vorrei metterne di più.
Niente pagliacciate, solo la natività, l’albero, le luci. Migliaia di lucine.
Adesso bambino non sono più, ma fare queste cose mi dà più gioia di quanta me ne desse allora. Per questo le luci non mi bastano mai e per questo quando è ora di piazzarle sul tetto cerco sempre di portare con me i nipoti più grandi: perché vedano, imparino, ci prendano gusto e, a Dio piacendo, lo facciano anche loro quando il tempo verrà e lo insegnino ai loro piccoli e poi ai loro nipotini.
Esagero per una faccenda cosi da poco? Non so, ma non credo.
Le cose — tutte — o sono totalmente effimere o hanno il respiro dell’eterno. O cominciano semplicemente per finire (più presto che tardi), o arrivano a noi come doni per essere possedute fino in fondo — cioè ridonate. Se vengono ridonate vivono in eterno, sennò nella migliore delle ipotesi finiscono con noi. Se non oggi, domani.
L’altro ieri, mentre alcuni finivano di decorare la casa e tanti si sbattevano tra un negozio e l’altro nel tentativo di racimolare gli ultimi regali, ad altre persone in altre parti di questo mondo veniva tolta la vita. Con violenza, per mano di altri esseri umani. La sera, fissando quello schermo tv punteggiato dal riflesso intermittente delle luci colorate dell’albero e del presepe, ci passano davanti agli occhi Aleppo con la sua tragedia infinita, la bruta follia dell’attentato di Berlino, la prepotente disumanità di quello di Ankara.
Quelle luci colorate servono solo a mascherare un po’ la bruttura di quelle immagini altrimenti insostenibili?
Andando avanti negli anni la vita diventa tutta “un di più”. E’è più bella perché si vede di più tra le pieghe di tutto; più preziosa perché se ne coglie di più l’infinito valore di dono; più struggente perché il desiderio, il bisogno di Bene non la smette di conquistare terreno ed il bene non basta mai; più dolorosa perché perdere quel che sta a cuore diventa una cosa frequente, perché si fa esperienza della fragilità del proprio corpo, del non riuscir più a fare quel che si faceva e che si vorrebbe continuare a fare. Come mettere le luci sul tetto di casa…
E poi c’è la cosa più misteriosa e drammatica, la fine dell’umana avventura.
Tutto appare cosi fragile e precario. Tutto è cosi fragile e precario.
Anche quel bambino che mettiamo nel presepe. Apparentemente fragile come i bambini di Aleppo, come quelli che soffrono fame e sete, e come quelli che crescono in tante case dove non piovono bombe, non c’è freddo né gelo, ma tutto ha il respiro breve, tutto ha poco valore. Quel bimbo che viene a Natale è il dono più bello perché lega cielo e terra; quel bimbo si offre a noi per dare ad ogni nostra parola, pensiero ed opera il respiro dell’eternità.
Facciamo la casa bella e luminosa perché è festa. Non c’è niente da dimenticare e non c’è da fingere che non esistano cose brutte attorno a noi. Facciamo la casa bella per ricordarci di quel dono che abbiamo ricevuto. E quando mettiamo quella pecorella o quel pastorello di gesso davanti alla mangiatoia è come se accarezzassimo quei bimbi che soffrono. è la stessa tenerezza, lo stesso struggimento. Magari potremmo fare di più, magari no.
Dio ama chi dona con gioia.
Anche il presepe, l’albero e le migliaia di lucine lo raccontano al mondo.
Merry Christmas!