Anche in questo Natale 2016, sembrano convivere incertezza, pessimismo, paura del futuro e nello stesso tempo il messaggio della misericordia che abbiamo ascoltato durante il giubileo straordinario.

Come possono convivere due cose così contraddittorie, pessimismo e misericordia? Giovannino Guareschi, un vecchio amico sempre nuovo, ci può mostrare come.

Lo scrittore visse in un momento storico, quello del dopoguerra, che non era certo migliore del nostro. Nei suoi scritti non ha mai nascosto la durezza della realtà, non ha mai cercato di addolcirla. Ha mostrato tutta intera la violenza della natura, con le alluvioni che spazzano via tutto; la povertà; la fame; la mancanza di lavoro; la cattiveria dell’uomo che diventa odio e addirittura omicidio. Anche nella situazione più tragica, però, ha sempre fatto emergere un particolare che permettesse di percepire che l’ultima parola non è la distruzione, ma una speranza inaspettata.

Un bambino terrorizzato perché convinto di aver ucciso un altro bimbo cade nel grande fiume e annega. I due piccoli si erano azzuffati dopo una rissa scatenata dall’odio politico trasmesso loro dai rispettivi padri. La tragedia è grande e sembra senza appello, ma qualcuno sa guardarla aprendo gli orizzonti. “Il figlio di Peppone era guarito e aveva dimenticato il sasso, ma lo Scartini non aveva dimenticato il suo ragazzino finito così, davanti ai suoi occhi. Don Camillo guardava l’acqua del grande fiume: “O tu che raccogli le voci del monte e del piano” sussurrò don Camillo “tu che hai visto le angosce dei millenni passati e vedi quelle dei nostri giorni, racconta agli uomini anche questa storia. Dì agli uomini: ‘Voi che fecondate nel vostro cuore il germe dell’odio, liberate una belva che poi vi sfugge e fa strage delle tenere carni dei corpi. Una belva che di notte corre nei campi addormentati e penetra nelle case e poi, all’alba, si unisce al branco che batte le contrade di tutto il mondo’. Dì agli uomini: ‘Abbiate pietà dei vostri figli. Dio avrà pietà di voi'”.

Come partecipa l’uomo a questo sguardo buono del Mistero sul mondo? Innanzitutto con la sofferenza per il proprio male. E’ questo dolore  per il male il primo segno dell’amore di Dio per l’uomo, perché da qui può iniziare un cambiamento. Da qui il sangue può diventare “acqua che purifica”, come dice don Camillo a un uomo che gli confessa di aver assassinato una persona per scopi politici molti anni prima: «Sangue!» ansimò il giovanotto guardando con orrore il canale gonfio d’acqua. «Il suo sangue. Lo so ben io che l’ho toccato quando quel sangue era ancora caldo… Ho eseguito un ordine… Credevamo che fosse una spia… Io sono a posto perché ho eseguito un ordine… Io ho sentito quello che ha detto suo padre… Ho visto quel che ha fatto sua madre qui… Sangue. Questa non è acqua, è sangue». «Acqua» insisté dolcemente don Camillo. «Prova a toccarla». Il giovane ritrasse inorridito la mano. Ma don Camillo insisté ancora con voce suadente. E il giovane, lentamente, esitando, appressò la mano all’acqua. «Immergila la mano» sussurrò don Camillo. «Il Bacchi aveva ragione: l’acqua purifica, lava le macchie di sangue, cancella l’odio». Il giovane immerse la mano nell’acqua gelata. E aveva tutti i nervi tesi da spezzarsi. A un tratto gli occhi gli si riempirono di pianto e due lagrime gli scivolarono sulle guance e andarono a cadere nell’acqua. Il giovane ritrasse la mano e la guardò gocciolare».

Il dolore che fa percepire l’errore fa sgorgare quel frutto impossibile che è il perdono.

Peppone lo scopre di fronte a Bonetti, un contadino rovinato dall’ingiustizia e dalla violenza del potente di turno, Boccia, quando si accorge che il malvagio non riesce a compiere la peggiore nefandezza: rendere cattivo l’animo di chi riceve il torto.

“Peppone scosse il capo: «Non è dunque riuscito a convincerti il Boccia?». «No, Peppone, il Boccia non è riuscito a convincermi che Dio non esiste. Io continuo a credere nella giustizia divina». E quando Peppone, cercando di far leva sul naturale sentimento umano, e gli chiede: «Non ti senti niente, dentro, quando vedi quello li?», Bonetti risponde così: «Sento pietà per quella carne maledetta».

Questa strada misteriosa ma sicura è quella che il Natale ci pone davanti: un Dio fattosi uomo, in modo sommesso suggerisce, corregge, mostra cosa è la misericordia, un seme che resiste ad ogni distruzione e violenza: «Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all’uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l’uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni, cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?». Il Cristo sorrise: «Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terrà riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza». Bisogna salvare il seme: la fede.

È il compito e l’augurio che Guareschi lascia a tutti noi, in questo nonostante tutto luminoso Natale 2016.