Possono una donna o un uomo minimamente intelligenti ed esperti prendere sul serio il Natale? Può essere per noi, gente “ragionevole”, qualcosa di più di una parentesi di qualche ora? Qualcosa di più di un momento – nel migliore dei casi – per ritrovarsi con i propri cari per un buon pranzo e per augurarci il meglio? Questo Natale è arrivato in un momento in cui siamo tutti particolarmente disorientati e feriti. Una violenza nichilista è tornata a colpire in territorio europeo, stavolta a Berlino. E per quanto cerchiamo di dimenticarla ci sentiamo insicuri. Sospettiamo, senza confessarlo del tutto, che le solite ragioni non bastino per affrontare questi strani tempi. Che non basta chiedere più sicurezza. Che dare la colpa ai rifugiati e ai musulmani (agli altri) è infantile. Ma non sappiamo in quale direzione muoverci.
E questo non ha a che fare solo con il terrorismo, ma con tutto. È come se, da alcuni anni, l’abituale scenario in cui si sviluppava la nostra vita stia scomparendo in modo molto rapido. L’economia è in parte migliorata, ma dalla crisi del 2008 nulla è stato come prima. Le guerre sono più vicine che mai. L’edificio finora solido della democrazia occidentale sembra sempre più in balia delle tempeste. E noi non sappiamo da dove ripartire. A livello personale succede la stessa cosa. L’ambiente di lavoro, quel che resta della famiglia, ovunque sembra esserci più freddezza. Abbiamo persino paura di dire “ti amo” perché non sappiamo quanto durerà.
Noi, gli uomini e le donne “ragionevoli”, non ce l’abbiamo con la voglia di essere contenti che si respira ovunque in queste ore. Ma sappiamo che quando si spengono le luci della festa e tornano i giorni grigi di gennaio, se siamo fortunati riusciremo a passarcela bene. La cosa paradossale è che, nonostante i fallimenti, i tradimenti e le sofferenze, c’è in noi una sorta di memoria genetica – una nostalgia tenace – che si attiva cercando giorni migliori. Per questo ci sono occasioni in cui siamo tentati dalla speranza amara dell’ottimismo o dall’utopia.
Ha senso per un uomo o una donna seri, in queste circostanze, prendere sul serio il Natale? Una donna molto seria, laica, di origine ebraica, come la filosofa Hannah Arendt, usava una delle frasi che più si sente ripetere in questi giorni di Natale: “Un bambino è nato per noi”. È un’espressione del profeta Isaia che la filosofa impiegava per spiegare qualcosa che, agli uomini del XXI secolo, compresi i cristiani, è difficile da comprendere. C’è sempre una possibilità reale – spiegava – che qualcuno, da qualche parte, in un momento, possa dire o fare qualcosa che sia un inizio originale nel regno umano.
Sono parole che difficilmente leghiamo alla nostra ostinata nostalgia. Per noi ogni cosa succede perché ci sono cause sufficienti per spiegarla, perché ci sono leggi universali che la giustificano. È un’ingenuità che probabilmente spiega parte del nostro disorientamento. Tutte le sfide di questo inizio secolo ci hanno reso coscienti di quanto siano fallimentari i tentativi, soprattutto etici, di recuperare lo scenario ormai perduto. “Un bambino è nato per noi”: è un annuncio serio per gli uomini e le donne seri del XXI secolo. Vuole spiegare – diceva la Arendt – come sono fatte le cose. Sfida quel risentimento e quel sospetto che ci provoca tutto quello che abbiamo costruito con le nostre mani. Tutto ci è stato dato, a cominciare dalla nostra vita. Si tratta di un modo differente di pensare e di sentire. Ci dice che qualcosa di dato, qualcuno dato, in un momento e in un luogo preciso, è la condizione per ricostruire la nostra geografia umana.
Ci vengono date l’esistenza, le relazioni, il mondo. E questo sarebbe, in linea di principio, sufficiente per essere grati e per guardare le cose in un altro modo, senza essere presi dalle incertezze che ci circondano. Il Bambino di Isaia si scrive con la B maiuscola. Il Natale annuncia che il Mistero che è all’origine del Big bang e che sostiene l’universo in espansione, con le sue migliaia di galassie, Colui che mantiene stabile la struttura quantica della materia, l’Origine del desiderio di giorni migliori che ogni uomo sulla faccia della terra ha avuto e avrà, è nato per noi. Duemila anni fa tra la paglia e il calore del respiro di un asino e di un bue. E da quel momento la storia continua. Perché lo scopo era quello di venire a restare, come il primo giorno. Perché un Amico ci aprisse gli occhi, per insegnarci a guardare bene le cose, per aiutarci quando cadiamo.
Questo modo di intendere il Natale, che recupera la sua origine, non è serio? È solo il racconto di alcuni illuminati e pazzi? Forse. Ma la pretesa è troppo seria per non prenderla in considerazione. Per non sottometterla al giudizio dell’esperienza.