Poche ore prima che il Consiglio dei ministro varasse il decreto “salva Mps“, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha firmato dieci contratti di sviluppo in sei regioni (cinque del Sud e la Lombardia) per un valore di 350 milioni. Ma è stato più importante l’annuncio di 51 altri progetti in perfezionamento entro metà 2017: il governo metterà in campo 950 milioni per muovere in tutto 2,5 miliardi, “Solo investimenti strategici e di grandi dimensioni”, ha garantito Calenda, che si appoggerà su Invitalia, Compaiono, fra i nomi dei primi contratti, la 45° Parallelo, casa vinicola dell’Oltrepò; la Besana, storico gruppo lombardo della frutta secca che oggi ha in Campania il suo baricentro; la Aeroviaggi, leader dei viaggi organizzati in Sicilia e Sardegna, il Pastificio Garofalo di Gragnano, la Ge Avio di Pomigliano, la Renovo Bioedil che sta riconvertendo il Sulcis puntando sui materiali in sughero.
Snodi di reti-distretto da costruire o ricostruire; anelli importanti di filiere da consolidare o razionalizzare; centri di gravità di settori del Made in Italy. Pare gergo risaputo di politica industriale: ma nel 2017 sarebbe un errore grave non ripartire dalla centralità della “politica economica reale”. Sarebbe unol spreco non riaprire la cassetta di attrezzi che l’Azienda-Italia ha messo assieme e arricchito nell’ultimo trentennio: proprio quando l’iperfinanziarizzazione dell’economia sembrava aver ridotto imprenditorialità e imprese da soggetti a oggetti di scambi sul mercato.
La crisi bancaria che ha infine investito pesantemete anche l’Italia è stato l’effetto tangibile di un rovesciamento di prospettiva: la capacità di generare “valore aggiunto” è stata via via assegnata in misura quasi egemone al settore finanziario a scapito dei segmenti manifatturieri o terziari reali. La maxi-rete di salvataggio stesa alla vigilia di Natale dal governo al costo di 20 miliardi attorno a Mps e ad altre banche pericolanti ha invece certificato quanto valore possa essere distrutto dai rischi annidati nel mercato finanziario deregolato Una piattaforma che che sembra aver anzitutto smarrito la propria bussola di allocatore efficiente ed efficace di risparmi e capitali verso le esigenze dell’imprenditorialità più meritevole.
Se il 2016 si chiude – purtroppo non solo virtualmente – con un salato conto finale messo in pagamento dall’economia finanziaria, il 2017 non può non aprirsi all’insegna di un rilancio della politica industriale. La pista dei “contratti di sviluppo” che il ministero dice di voler percorrere con decisione riconosce da un lato il ruolo delle Regioni come monitor e presidio dei territori dell’impresa nazionale; dall’altro ripropone una sfida: selezionare il merito “strategico” di interventi che la rarefazione delle risorse a disposizione rende ulteriormente indipensabile individuare con sicurezza.
La politica industriale – che il Rapporto 2016 della Fondazione per la Sussidiarietà ha provocatoriamente invitato a ripensare uscendo da vecchi parametri burocratici e contabili – è ridivenuta un esercizio tanto impegnativo quanto fondamentale per far riguadagnare ripresa al Sistema-Paese. Non è solo l’intermedizione bancaria a dover essere risanata e riattivata in Italia con il riuso innovativo di approcci accantonati: è anche – e forse soprattutto – l’intermediazione operata da politiche pubbliche, sempre meno centrata sulle risorse fiscali materiali e sempre più su quelle intangibili – ma non meno strategiche – della conoscenza e della sussidiarietà economica.