Il concludersi di un anno è sempre un’occasione per ripercorrere gli avvenimenti trascorsi e tracciare bilanci. E guardando la polveriera su cui siamo seduti, le violenze e gli orrori quotidiani che ci scorrono davanti agli occhi sugli schermi e ci sfiorano fin nelle nostre strade, parrebbe impossibile trovare motivo per sperare un bene dall’anno nuovo. Eppure quest’anno entrerà forse nella storia come l’anno di una nuova speranza, che può giungere al mondo dall’unità tra i cristiani e più in generale tra coloro che onorano rettamente il nome di Dio. Mi riferisco innanzitutto all’incontro svoltosi a Cuba nel febbraio scorso tra il Papa e il Patriarca di Mosca Kirill. Come pure al viaggio compiuto insieme da Francesco e Bartolomeo sull’isola di Lesbos. Ma anche a fatti meno eclatanti, come una mostra fotografica recentemente dedicata agli 80 anni del pontefice dal “Centro Solženicyn” di Mosca, un’istituzione ufficiale, senza particolari simpatie filocattoliche. E, infine, all’ondata di commozione sollevata in Russia e nei paesi dell’ex Unione Sovietica dalla morte di padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana, documentata nelle ore immediatamente successive da centinaia di messaggi, lettere e post.
“Al momento opportuno, che solo lui conosce, il Signore raccoglie i frutti della Sua messe spirituale. E ora ha chiamato a sé uno dei più degni lavoratori, che a lungo e con zelo ha posto mano alla Sua messe”. Queste parole, riferite a padre Scalfi, ci sono state inviate dall’arcivescovo ortodosso Aristarch di Kemerovo (Siberia). L’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca Paolo Pezzi ha scritto una lettera a tutti i sacerdoti della diocesi chiedendo di celebrare dappertutto messe per lui e di imparare la sua apertura di cuore (“non si è mai battuto ‘contro qualcuno’… il suo tempo è stato speso tutto per testimoniare Cristo e la sua opera di salvezza”). E tanti altri ancora.
Una vita spesa per la Russia, quella di padre Scalfi, anche se la Russia, in realtà, aveva potuto vederla perlopiù da lontano: negli anni dell’Unione Sovietica era stato ben presto dichiarato “persona non grata” e poi, dagli anni 90, l’età ormai avanzata non gli aveva concesso che qualche breve viaggio o soggiorno. Eppure per moltissimi in Russia e nei paesi dell’ex URSS, appartenenti ai contesti più disparati (ortodossi e cattolici, intellettuali e gente semplice), è diventato una presenza amata e stimata, una figura familiare, un padre.
“Ci sono poche persone che abbiano tanto amato la Russia e il suo patrimonio cristiano, e abbiano fatto tanto per farlo conoscere nel mondo”, ha scritto qualche ora dopo la sua morte la poetessa Ol’ga Sedakova. È curioso che proprio con questo verbo — “amare” — padre Scalfi, così schivo e misurato nell’esprimere i propri sentimenti, abbia voluto concludere il breve testamento spirituale che ci ha lasciato: “Chiedo agli amici di Russia Cristiana di amare la Russia nonostante tutto”.
In quel “nonostante tutto” c’è, mi sembra, una chiave di comprensione della speranza a cui siamo chiamati. Una cosa è certa, non vi si avverte ombra di remore o riserve. Chiunque abbia sentito parlare padre Romano ricorda certamente la simpatia e la passione con cui parlava della Russia, vedendone lucidamente problemi e difficoltà ma guardandola sempre innanzitutto a partire dalla testimonianza di verità e di santità offerta dai martiri, e in anni più prossimi a noi dai “dissidenti” e dagli autori del samizdat. Ci indicava questi uomini come la verità della Russia: esattamente così, con la consapevolezza da lui insegnataci che stavamo mettendo piede in una terra di santi, io e tanti altri come me a suo tempo siamo stati in Russia, per motivi di studio e di lavoro, ma soprattutto per incontrare e sostenere singoli credenti o piccole comunità. Esattamente così è nata e opera la “Biblioteca dello spirito”, un centro culturale da lui voluto, insieme a don Giussani, a Mosca, come un luogo di dialogo e condivisione. Quel “nonostante tutto” è la scommessa di Dio su ogni uomo, l’ostinato bussare del Padre alla porta del cuore di ogni uomo, lo sguardo realistico della misericordia che scorge in ciascuno l’icona divina sotto le brutture accumulate dalla vita. In fondo, è lo stesso “nonostante tutto” sotteso alla domanda “mi ami tu?” di Cristo e alla risposta di Pietro in quell’alba sulle rive del lago di Tiberiade — un “nonostante tutto” rivelatore di un legame d’amore più potente di qualsiasi impedimento.
In mille anni di divisione ci siamo abituati a concepirci come normalmente, inevitabilmente divisi, e a vedere l’unità come un traguardo ben difficile da raggiungere, in ogni caso a prezzo di immani sforzi. E invece, tutto può cambiare all’improvviso: in questi giorni, addirittura vari sacerdoti e monaci ortodossi dalla Russia ci hanno scritto che il morire il giorno di Natale — così è stato per padre Scalfi — è un privilegio concesso da Dio ai suoi amici, un segno di “beatitudine”. E d’un tratto, questi mille anni di divisione sono come letteralmente “bruciati” dalla consapevolezza, espressaci dagli stessi fratelli ortodossi, che siamo insieme, uniti dalla santità, dalla Presenza che ci fa scoprire “amici”. Paternità e “infanzia spirituale”: chi può dimenticare l’abbraccio gioioso e stupito di papa Francesco e del patriarca Kirill, atteso da anni e ritenuto impensabile dai più? Con lo stesso stupore, più di un messaggio pervenutoci dalla Russia accenna alla limpidezza che apparentava lo sguardo e il cuore di padre Scalfi al Bambino di Betlemme che è venuto a prenderlo; con la stessa commozione don Julián Carrón nel suo messaggio di saluto ricorda: “Porterò sempre con me la letizia che ho visto sul suo volto”.
Momenti di vita, persone e momenti di persone: pur nel pensiero dei dolorosi sconvolgimenti dell’anno passato non cessa di brillare la luce della speranza per un bene che ci attende, anzi il cammino ne è sempre più distintamente segnato, si accende in un numero sempre più ampio di cuori, consapevoli che la salvezza è già presente, nell’unità di quanti hanno incontrato negli occhi di un altro uomo un riflesso dello splendore di Dio.