“Questo è un nuovo paradigma. Quel che propone Carrón è il passaggio dal significato della legge alla legge del significato. Le teleologia e la teologia si legano in un incontro, in qualcosa che è accaduto”. Con queste parole Mikel Azurmendi, antropologo e filosofo, ha iniziato il suo intervento in un dialogo sorprendente che si è tenuto la scorsa settimana a Madrid. Il tema era “La bellezza disarmata”. Allo strano incontro con Julián Carrón, autore del libro, ha preso parte anche il fisico Juan José Cadenas. Strano incontro perché Azurmendi e Cadenas, che sono agnostici, hanno detto di trovarsi di fronte a un modo di proporre il cristianesimo che gli risultava ragionevole e attrattivo, lontano dalla fede che avevano conosciuto nella loro infanzia, con l’ossessione del peccato, noiosa e distante dalle preoccupazioni umane.
Cosa ha reso possibile questo incontro? Perché due agnostici e un cristiano dialogano a cuore aperto sulle sfide che la Spagna affronta in questo inizio di XXI secolo? Una conversazione così, tra laici e credenti, dedicata al significato della vita e al modo migliore di vivere insieme, non ha in Spagna una lunga tradizione. Ci sono stati dialoghi simili, ma sfortunatamente si è trattato di casi isolati. La storia non aiuta di certo, visto che la formazione dello Stato nazionale tra il XV e il XVI si è basata sulla soppressione delle differenze religiose, che erano state una costante del Medioevo. Le rivoluzioni liberali dell’inizio del XIX secolo, con la Guerra di indipendenza da Napoleone, hanno provocato una reazione anti-moderna. Si sospetta di chi dovrebbe essere “naturalmente e nazionalmente cristiano” e non lo è. Il sospetto si prolunga per buona parte del XX secolo. Certe alleanze con il potere per difendere ciò che si considera evidente provocano una sorta di lunga sbornia e le ideologie rivoluzionarie non facilitano le cose. Così buona parte del cattolicesimo spagnolo moderno e contemporaneo non si sforza di relazionarsi, perde quella freschezza e ricchezza che viene sempre data dal raccontare all’altro ciò che si è dato per saputo.
Forse due grandi sforzi di apertura ci sono stati. Il primo dopo il Concilio Vaticano II, con un’apertura/confusione con quel compromesso sociale di ispirazione marxista che ha dominato il panorama europeo dagli anni ’60 ai ’90. Il secondo dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, con un’apertura/confusione con l’occidentalismo europeo di destra generato dalla minaccia terrorista. In entrambi i casi si è data per scontata la fede e si è passati rapidamente a incontro basato sul compromesso morale (lotta contro lo sfruttamento/lotta contro il relativismo). Si tratta di espressioni di un cristianesimo anonimo, di destra e di sinistra, basate sul fatto che il mondo laico condivida i valori (che variano secondo le circostanze) dell’umanesimo cristiano. Non si parla dell’origine e dell’esperienza che ha reso possibili questi valori.
Quel che è successo alcuni giorni fa a Madrid è stato completamente diverso. La conversazione ha denunciato proprio l’inutilità di partire dall’etica che cristiani e laici condividono. Etica che ha smesso di essere evidente per gli uni e gli altri. Il focus è stato quindi posto su quale uso della ragione può offrirci un significato, una speranza. Azurmendi e Cadenas, due persone di grande statura umana, incarnano un cultura laica aperta, lontana dall’ideologia. Forse post-moderna. E questo è di grande aiuto. Il primo ha fatto un appassionante viaggio personale e intellettuale dal marxismo all’accordo contro il totalitarismo terrorista dell’Eta. Il secondo ha la dimensione dei grandi scienziati, l’abitudine e la passione di una ragione aperta.
Queste due persone hanno parlato con un cristiano che condivide le loro stesse domande, la loro stessa necessità di comprendere e affrontare un mondo nuovo. Un cristiano che non ha una lista di soluzioni sul miglior rapporto possibile tra Stato e mercato, su tutti i problemi politici e sociali generati dalla globalizzazione, sull’immigrazione e il terrorismo. È un cristiano che affronta tutte queste sfide evidenziando quale posizione di partenza permette di affrontarle al meglio.
Per questi agnostici è stato interessante un cristianesimo che non è sulla difensiva, che non è arrabbiato perché la sua morale (o la “morale naturale”) non è riconosciuta da tutti e tutelata dallo Stato. Un cristianesimo che crede sinceramente nella libertà e che sa che non esiste una scorciatoia nel lungo cammino che porta a una verità associata ai riflessi della bellezza. Questi agnostici hanno trovato interessante, l’hanno detto loro stessi, un cristianesimo che ha l’audacia di dire che ciò che è accaduto 2.000 anni fa in Palestina continua a essere presente generando un’umanità nuova, più umana, più interessante. “Se è vero che Cristo è resuscitato, c’è da togliersi il cappello”, ha detto Azurmendi. Dopo ha citato Zaccheo, la Maddalena e altri personaggi del Nuovo Testamento.
A due agnostici così, al loro sguardo, alle loro parole, che ci restituiscono il cuore del cristianesimo più pulito e fresco, occorre obbedire. Quel che è successo a Madrid qualche sera fa non è stato un aneddoto, ma un fatto che indica un cammino, che mostra qual è il paradigma che permette al cristianesimo di non essere ridicolo, di non essere condannato al fallimento o di trasformarsi nella consolazione di quelli che non amano la vita.