Quell’essere, oltreché lurido e immondo, è alquanto tracagnotto. Il corpo di Giuda appeso al fico, al confronto, appare il simulacro di una bellezza antica e dissolta. Quello di Giuda fu un peccato d’ingordigia, una sorta di gelosia mai digerita. Eppur, in cuor suo, per l’Amico serbò sempre un che d’affetto: «Fa che questa strada non finisca mai» gli mette sulle labbra Luca Doninelli quando, in fondo alla strada, vede sbucare l’Amico che sta per tradire. Il suo rimase il delitto di un poveruomo che, scandalizzatosi dall’impotente potenza di Dio, non seppe reggere l’urto di quella capriola. Di quella giravolta di prospettive celesti.
Nulla a che vedere con Lucifero, lo smargiasso che scorrazza sbruffone tra le pagine arroventate della Scrittura. Quella tra lui e Gesù è una storia che s’annida lontano: una vecchia questione-di-famiglia rimasta in sospeso, di quelle che si protraggono per intere generazioni. Tutto partì da uno sgarbo che Lucifero, col passamontagna da serpente, fece al Padre di Gesù, all’indomani della Creazione. Ingelositosi di quella storia d’amore cristallina, si comportò come il più abile dei balordi, giocando la carta del sospetto: “Ho il sospetto che Dio vi tenga nascosto qualcosa per impedirvi di essere felici appieno” (cfr Gen 3,5). Nessuna prova, solo frasi intellettualmente sleali: “Dicono, ho sentito, mi hanno riferito, raccontano”. Il Creatore, invece, alle sue creature diede subito un nome: d’allora, i nomi e i cognomi esistono perché ogni frase abbia paternità, maternità. Gli andò malissimo quella volta, tanto da finire con una maledizione piombatagli tra capo-e-collo dal cielo: “Maledetto! (…) Una donna ti schiaccerà il capo” (cfr Gen 3,14-15). Finì al tappeto, minacciato e furibondo. Furioso.
D’allora, tutto esattamente come allora: Amalek e Israele, grano e zizzania, bellezza e fraudolenza. Inganno e fedeltà, amore e odio, paradiso e inferno. Minacciato di morte, mica cedette quel Gradasso. Perduta la sfida col Padre, tentò di vendicarsi col Figlio, appena uscito da trent’anni di apprendistato a Nazareth. Lo agguantò nel deserto, spazio d’arsura e di cruenti duelli. L’attese e poi cercò di far vendetta dello sgarbo del Padre: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane (…) Se ti prostrerai in adorazione davanti a me (…) Gettati giù di qui” (cfr Lc 4,1-13). Pane, gloria e potere: l’imprevedibilità di Satana è alquanto prevedibile, parecchio buffa. Anche nel deserto, però, fallì il conteggio, forse gli scappò un dettaglio, proprio quello che fece la differenza: che il Figlio “era guidato dallo Spirito“. Lo immaginava solo e affamato, se lo ritrovò sazio d’essere nella compagnia del Padre e dello Spirito. Talune Bibbie questo passaggio l’intitolano: “Tentazioni di Gesù nel deserto”. Ad essere precisi, occorrerebbe rettificare: “Tentazioni di Satana”, visto com’è andata la faccenda. Esattamente come all’inizio; come sarà con la Donna-Madre.
Persa la battaglia col Padre e il Figlio, scortati fin sul collo dallo Spirito, e inseguito come una belva dallo sguardo della Donna, mica s’arrese. S’appostò nelle prossimità delle creature. Tentandole sul limite del dubbio: “Guardalo: secondo te è affidabile un Dio così? Mica sarai imbelle da credergli”. Sempre lì, alle calcagna: tonico, pimpante, in agguato. Mica rozzo: farti sentire grosso è il suo sogno, tu basti a te stesso. “Metti in ordine il mondo da solo: che ti serve Dio?” «Qui appare chiaro il nocciolo di ogni tentazione – scrive J. Ratzinger nel suo Gesù di Nazareth -: rimuovere Dio che, di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente, sembra secondario, se non superfluo e fastidioso». Sempre all’incrocio tra il Dio affidabile di Gesù e quello inaffidabile di Lucifero. Che, pur grasso e grosso, si presenta sensuale e lestofante: promette molto meno di Cristo, ma lo fa con tempi più rapidi. Nell’epoca del tutto-subito, è ancora una garanzia. Di quelle che in caso di incidente, però, non rispondono.