Per immedesimarci col significato della Quaresima appena iniziata propongo di ascoltare e riascoltare con attenzione la cantata scritta da Johann Sebastian Bach (che siamo soliti immaginare come un serioso e magari noioso signore imparruccato) a soli ventidue anni (quanto vigore giovanile contiene!), utilizzando il testo di un inno pasquale di Lutero: Christ lag in Todesbanden (su youtube c’è un’ottima esecuzione diretta da John Eliot Gardiner).
La Sinfonia strumentale iniziale ci introduce in un clima sospeso, come fosse il sabato santo, culmine misterioso di tutta la vicenda quaresimale e della vita umana di Cristo. Proprio sul suo nome irrompe il coro per annunciare il fatto straordinario: «Cristo giaceva nei lacci della morte (è il titolo) immolato per i nostri peccati. Egli però è risorto». La Quaresima non è il tempo del dubbio, essa trae la sua ragion d’essere dalla certezza della Pasqua; certezza che questo coro giubilante comunica in modo irresistibile trascinandoci all’alleluia che conclude questa come tutte le altre strofe dell’inno.
Ma se abbiamo già cantato l’alleluia che senso ha la Quaresima? Lo struggente dialogo tra soprani e contralti della seconda strofa risponde descrivendo l’umana situazione prima della salvezza pasquale: nessuno era senza colpa e perciò la morte dominava. Questa è però una condizione che, per lo spazio concesso alla nostra libertà, proietta la sua ombra anche sul nostro presente. Per tale ragione l’alleluia finale della strofa è più un lamento che un’esultanza. A questo consapevole gemito che si fa implorazione rispondono, accompagnati da impetuosi violini, i tenori: Gesù Cristo ha vinto il peccato privando la morte del suo potere; ad essa non è rimasto niente — nichts — ripetono i tenori prima di riprendere la cavalcata vittoriosa dei violini verso un nuovo alleluia. Il coro centrale ricorda che la vittoria è arrivata dopo una «prodigiosa battaglia»; la morte e la vita hanno combattuto un mirabile duello («mors et vita duello conflixere mirando» canta la liturgia latina) e la vita, cioè Cristo stesso, ne è uscita vincitrice perché ha accettato di sacrificarsi.
Ecco, dunque, spiegato il cammino penitenziale della Quaresima: partecipare, coscienti della propria condizione di peccatori, al sacrificio attraverso il quale Cristo ha ottenuto anche per ognuno di noi la vittoria su peccato e morte.
È lo stesso sacrificio — cantano i bassi nella strofa successiva — che celebriamo nell’Eucaristia, dove il corpo di Cristo «arrostito d’amore» viene imbandito e il suo sangue, segnando le nostre porte come quelle degli ebrei in Egitto, ci libera dallo sterminio. Musicalmente questa strofa è forse la più spettacolare e culmina, prima dell’intenso alleluia, in un lunghissimo acuto (i poveri cantanti si devono svuotare completamente i polmoni) sulla parola «assassino»: è lo scherno per il diavolo che oramai «non può più nuocere».
La cantata va verso al fine con due brani veloci. Soprani e tenori invitano a celebrare con letizia «la festa che il Signore accende per noi», mentre il corale conclusivo — che splende di una granitica certezza — chiama alla mensa dove «Cristo sarà il nostro cibo e nutrirà la nostra anima».
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Bach: Christ lag in Todes Banden, BWV 4 – John Eliot Gardiner