Il recente incontro di Cuba, come tutti gli avvenimenti epocali, ha suscitato una tempesta di commenti e valutazioni. La cosa più stupefacente, però, è la capacità di tirare le frasi in tutti i sensi possibili, in modo da leggervi tutto e il contrario di tutto, come se non si partisse da frasi oggettive ma da vaghe formule esoteriche e come se la cosa più importante non fosse sapere se l’abbraccio fra i due primati ha significato qualcosa, ma chi è il burattinaio dietro le quinte.

I filtri di lettura della Dichiarazione sono svariati, e talvolta hanno anche motivazioni drammatiche e comprensibili. Per gli ucraini, ad esempio, è urgente ottenere il riconoscimento internazionale della loro situazione di paese aggredito e invaso: così, molti greco-cattolici e ortodossi ucraini, quasi senza distinzione, convergono nel considerare tutto il testo della Dichiarazione come un semplice preambolo ai punti 25-27 in cui si parla dell’Ucraina. E qui ci si sofferma a leggere tra le righe cercando più quello che manca (ad esempio l’esplicita condanna dell’intervento russo) che quello che c’è. Ma la lettura politica finisce necessariamente per essere amara e a corta gittata, e a tagliare così le gambe a qualsiasi speranza: “Sembra che il Vaticano intenda spartire la propria autorità morale col patriarca Kirill e dunque con Vladimir Putin, al solo scopo che i cristiani del Medio Oriente abbiano una chance di sopravvivere”, è stato detto.

Per certi conservatori ortodossi, invece, più piattamente, l’urgenza assoluta è quella di ottenere il riconoscimento internazionale della Russia: “Innanzitutto — scrive padre Aleksandr Šumskij — l’incontro ha testimoniato la forza della Chiesa ortodossa russa. …Il mondo intero ha constatato che è la Russia oggi ad avere il leader politico più forte, il nostro presidente Vladimir Putin, e il leader religioso più forte, il nostro Patriarca Kirill. Questo incontro ha innalzato a un nuovo livello l’autorità della Russia in generale”.

Questi sono solo alcuni esempi delle molte letture “selettive” del documento; ognuna ha il suo retroterra, le sue ragioni, più o meno giustificate; tutti, come dice Tat’jana Krasnova, “abbiamo letto quel che ci faceva leggere la nostra esperienza”. Ma se dovessimo affidare il significato dello storico incontro di Cuba a queste letture, perderemmo per sempre il senso reale della sua portata. 

Armarsi del pregiudizio e cercare nei fatti solo la conferma delle nostre aspettative, o dei nostri timori, chiude semplicemente la possibilità di vedere. Un piccolo esempio: un lettore russo ha scritto su Facebook che le affermazioni di fratellanza della Dichiarazione congiunta gli ricordano troppo le sbrodolate sovietiche sui “paesi fratelli”, e che chiamare Cuba “Speranza del mondo nuovo” è ignobile, perché è stata la patria di un regime feroce e ottuso, uno dei peggiori. 

Verissimo che quello di Cuba sia stato un regime feroce, e verissimo che dietro certe formule di fratellanza ci fosse la più cinica oppressione; ma fermarsi ai vecchi cliché sperimentati senza ammettere la possibilità di una novità sorprendente non rende i nostri giudizi più saggi né più acuti: nella sala dell’aeroporto José Martí dove i due primati erano al centro dell’attenzione, si trovava un po’ in disparte un uomo piccolo e anziano, di nome Raul Castro. Era lì come “padrone di casa”, ma noi sappiamo che lui e suo fratello Fidel hanno creato sull’isola un regime di povertà, paura e repressione politica e religiosa. Forse per questo Raul Castro non si merita simpatia, sta però di fatto che il declino del regime totalitario cubano ha avuto l’imprevedibile merito, che i Castro lo volessero o meno, di permettere la mediazione del papa negli equilibri internazionali. Compreso l’incontro del 12 febbraio. 

Alcuni osservatori più sensibili alla novità della storia, cioè più sensibili a quello che accade che non al loro modo di interpretarlo, hanno sottolineato di essere rimasti stupiti dal documento: “sentiamo la voce cristiana della Chiesa, fatta di gratitudine, benedizione, solidarietà, sollecitudine per il mondo intero. Ci eravamo disabituati a questo linguaggio nei documenti ufficiali della Chiesa”, scrive Ol’ga Sedakova. E Sergej Chapnin aggiunge di aver scoperto che “è molto più fine e ampio di quanto mi aspettassi”. Pertanto non lo si può circoscrivere nella politica ed esaurirlo nei due o tre problemi cui non ha dato risposta. 

“Qualsiasi cosa dicano i critici da destra e da sinistra — dice Svetlana Panic — l’avvenimento dell’incontro tra il papa e il patriarca è molto più importante di qualsiasi cosa se ne possa dire. Un avvenimento non solo politico ed ecclesiale ma metafisico, e forse per questo suscita tanti sospetti e contrasti. Segna una nuova realtà in cui d’ora in poi dovremo vivere… Sentinella, a che punto è la notte?… Adesso, credo, molto dipenderà da noi: se accettiamo di scrutare nella notte per cogliere i primi bagliori di luce, e se crederemo ai suoi messaggeri o preferiremo i propagandisti cinici e tetri della disperazione, con la maschera della perspicacia e del buon senso”.