Figli come conigli, senza figli, o…

Tutti sembrano volere dei figli, ma quando si guardano le statistiche si scopre che l'Italia è uno dei paesi con la natalità più bassa al mondo. Il commento di GIORGIO VITTADINI

Se da una parte il dibattito sulla legge Cirinnà ha portato alla ribalta il tema del desiderio/diritto di essere genitori, leggendo i dati Istat, si scopre che i figli in Italia si fanno sempre meno. Un Paese destinato alla morte, hanno titolato anche alcuni giornali esteri. L’anno scorso la media della fecondità è stata di 1,35 figli per donna, 8 ogni mille residenti: 15mila bambini in meno rispetto al 2014, anno passato alla storia per il primato della più bassa natalità dai tempi dell’Unità Nazionale.
Tasso ben lontano da quel 2,1 figli per donna che impedirebbe alla popolazione di diminuire.
Sempre più vecchi, sempre meno giovani: lo si dice da tempo e da tempo ci si addentra in proiezioni ed analisi sulle conseguenze di questo stato di cose, ad esempio sulla sostenibilità del sistema pensionistico (oggi in Italia è in pensione il 22% della popolazione, uno dei livelli più alti al mondo).

Su queste pagine si è più volte parlato del fatto che politiche a sostegno della famiglia sarebbero decisive per risollevare la situazione di tutto il Paese, come mostra ad esempio l’esperienza francese, e del fatto che l’Italia non ha ancora imboccato questa strada. Un dato per tutti: la quota di spesa pubblica destinata a sostenere la famiglia (assegni familiari, agevolazioni fiscali, servizi, etc) è pari all’1,3% del Pil, in Francia è del 3,02%. Solo Spagna e Grecia hanno una spesa inferiore alla nostra.

E’ evidente in questo quadro che le famiglie italiane sono costrette a portare pesi più onerosi e anche per questo sono meno propense a procreare rispetto a quelle di altri Paesi sviluppati.

Ciò detto, è evidente che la scelta di generare figli dipenda da ragioni più profonde di quanto sembri e per questo non si può ridurre la questione a considerazioni economiche.

La situazione non può neanche essere affrontata invocando un ritorno al passato.
In tanti casi accadeva che fare figli fosse un modo per avere più braccia da lavoro e tentare di uscire così dalla miseria o, peggio, nel caso dei ricchi, per aumentare il proprio potere avendo più “pedine” con cui occupare vescovadi o principati o allearsi con famiglie potenti. E non mancavano i casi in cui procreare era legato allo sfogo di istinti sessuali e all’uso della donna come animale da riproduzione, magari con qualche giustificazione religiosa… Fare figli “come conigli”, come ha detto papa Francesco.

Tutte cose che appaiono come espressioni di un egoismo della stessa natura di chi oggi, per avere un figlio ad ogni costo, non si preoccupa di farlo passare per situazioni dolorose, se non traumatiche (nel dibattito attuale sulla maternità surrogata, ad esempio, è poco presente il problema di cosa significhi per un bambino essere separato dalla madre che lo ha appena partorito).

Eppure, lo spirito con cui tanti, nel passato e nel presente, hanno fatto e continuano a fare figli è ben diverso: nasce dal desiderio che qualcun altro possa godere della bellezza del creato, della vita, dell’affezione e, per chi crede, di quella Presenza che ci ama dal profondo del tempo e che ci abbraccia discreta ogni istante, nella buona e nella cattiva sorte.

Ciò cui si è chiamati è una coscienza più grande, più umana. Un’esperienza di rapporto tra persone che è amore gratuito, senza calcoli, senza ritorno. Generativo. Una condivisione della bellezza. E per questo, ieri come oggi, tanti emigrano per poter mantenere i figli e dar loro una buona istruzione, o si sacrificano in lavori massacranti.

In questa prospettiva, è un brivido di gratuità quello strappo al cuore, di cui mi parlava un amico, quando ha visto le sue figlie crescere, sviluppare la propria personalità, la propria identità, staccarsi ogni giorno di più dal grembo familiare. Non solo perché le ha viste prendere strade totalmente differenti dal bene che lui aveva in mente per loro, ma perché a un certo punto tornando a casa alla sera non poteva che chiedersi: ma chi è questa persona? E, come mi diceva un’altra amica, facendo il letto una delle ultime volte alla figlia che sta per sposarsi, non si può non rispondere al sussulto (non sarà più con me!) con quella consapevolezza vertiginosa che le fa dire: “E’ giunta al mondo attraverso di me, ma è un “altro” da me”. Per crescere figli in modo davvero umano, bisogna educarsi a una gratuità totale, al fatto che sono altro da sé. Come diceva Maria Zambrano, “si vive per davvero soltanto quando si trasmette qualcosa, vivere umanamente è trasmettere, offrire, radice della trascendenza e suo compimento a un tempo”. Questa è in fin dei conti la migliore “politica demografica”.

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