Era una imponente liturgia in due atti. Il primo era al maschile, di proprietà del nonno: prendeva il secchio di rame da sotto il lavabo, vi versava dell’acqua ribollita — attinta di proposito dalla stufa — e poi, da sotto la medesima, estraeva a mani nude qualche pugno di cenere, da mescolarsi con l’acqua. A quel punto partiva il secondo atto, quello ch’era sempre al femminile, di proprietà della nonna. Afferrava il secchio pesante e, con una montagna di bucato in braccio, s’incamminava al lavatoio, appresso al torrente. Lì, in compagnia delle comari operose e indaffarate, tra litanie ancestrali e vezzi da femmine, sciacquava il bucato di casa nostra. L’indomani, nel salone dell’asilo, il mio grembiulino era l’unico che non profumava di Dash: quel profumo era costoso. Eppure nessuno, tra tutti i bambini, poteva dire d’aver un grembiulino più bianco del mio senza trovarsi col naso di Pinocchio. Come faceva il bucato la nonna, nessun’altra era capace: suppliva la mancanza del profumo con la nitidezza del biancore.

L’acqua e la cenere: gli elementi indigenti del bucato di casa nostra. Eppur nobili e nobiliari se, anni prima, il Cielo se li affittò per insegnare a sciacquare le anime nella stagione del bucato, la Quaresima. Medesimi ingredienti: la cenere in testa nel mercoledì-delle-ceneri, l’acqua sui piedi il giovedì santo, nel gesto misero e vertiginoso della lavanda-dei-piedi. Un vero e proprio fare il bucato, la Quaresima: quaranta giorni di faccende dell’anima per tentare d’assomigliare sempre più a quell’immagine che Lucifero ha osato infangare con quel sospetto tribale, gettato in mezzo al giardino dell’Eden: “Ho il sospetto che Dio vi tenga nascosto qualcosa per impedirvi di essere felici appieno” (cfr Gen 3,5). 

Dio mica s’arrese: ricominciò da zero. Neanche il Gradasso s’arrese: continuò a partorire sospetti. D’allora, la salvezza è un’eterna partita di ping-pong tra il fascino della schiavitù e il rischio della libertà. Secoli dopo si ritroveranno all’ombra delle Piramidi d’Egitto, schiacciati come schiavi a libro paga delle paranoie di un faraone-burlone: a cucinar mattoni, a raffreddare bollori, a macinare sevizie. Dio s’accorse di loro, frastornato dalle loro urla disperate: intervenne a suon di rane e zanzare, di burrasche e di ulcere. Li trovò ch’erano una banda di straccioni e di beduini: dopo quarant’anni di ritocchi — ben più di un semplice maquillage da femmina — li videro con cucite addosso le vesti dell’alleanza più sfacciata e invidiata della storia: quella d’Israele amato ad oltranza. Fu il fischio finale della partita? Manco a dirsi: strappatili dalla schiavitù dell’Egitto, Dio s’accorse che non era stato capace di strappare l’Egitto dal cuore dei suoi beniamini. A tutt’oggi, la nostalgia delle cipolle è ancora in agguato. Mica è grezzo Lucifero.

E’ un deserto la Quaresima che inizia mercoledì, è uno sbaraglio la libertà: Pasqua, ogni anno, è giusto in fondo al deserto, appena dopo il Golgota della disperazione. Non potrebbe essere altrimenti: «Sperimentai la libertà, che non è un elenco di diritti da godere, ma uno sbaraglio — scrive Erri De Luca nel suo Il più e il meno —. Se non è spesso un deserto, non è libertà». Dopo i coriandoli colorati del carnevale, anche quest’anno s’annuncerà il bucato grigio di cenere e acqua: “Ricordati che sei polvere, e polvere ritornerai”. Un’epigrafe? L’esatto opposto, un voluminoso annuncio: “Dio ti cerca, non te lo perdere altrimenti sei perduto”. Dalla testa ai piedi, è anche una questione di natura: pure il pesce, quando inizia a marcire, comincia sempre dalla testa. Così è dell’uomo: lascia marcire i pensieri, andranno in malora anche i passi e i passaggi. Le traiettorie, i percorsi, i sogni. E’ per scampare alla mattanza del Demonio, che anche quest’anno il Cielo accetterà i gettoni del vecchio bucato della nonna: acqua, cenere. Date a Dio le anime, poi lasciatelo fare: in quaranta giorni strapperà gli ultimi residui d’Egitto dal cuore. Altrimenti, c’è da crederci, s’inventerà dell’altro.