Settimana scorsa il Corriere della Sera on line ha proposto un sondaggio sul grattacielo più bello di Milano, da scegliere tra i dieci indicati dagli esperti del quotidiano. Di solito non mi soffermo su questo tipo di iniziative perché mi sembrano una finta democrazia, per di più esercitata generalmente su argomenti piuttosto futili, ma stavolta ha vinto la curiosità e sono andato a vedere quali grattacieli partecipassero alla gara. Guardando le foto (e i primi risultati del sondaggio) ho pensato che la scelta dell’edificio potrebbe in qualche modo indicare anche l’immagine di città che noi milanesi ci aspettiamo e che magari avremo in testa tra qualche mese quando andremo a votare per il nostro sindaco.

Fino ad ora la medaglia d’oro se la contendono il Bosco verticale e il palazzo Unicredit ed è facile capire il perché. Il primo affascina chi pensa ad una città ecologica, con un più vivo contatto con la natura, libera dallo smog; gli alberi coltivati sui larghi balconi assomigliano però un po’ troppo a precarie foglie di fico. La seconda penso che sia stata votata soprattutto da chi si aspetta una Milano moderna, all’avanguardia, che svetta in alto, ma che nello stesso tempo sia un vero luogo di incontro; infatti si arriva nella piazza che sta ai piedi del pinnacolo da strade piene di locali, di negozi, di antiche chiese, e di tanta gente che vi confluisce in cerca di un ritrovo che spera amichevole; anche se magari non è disposta a fare molto perché tale amicizia si costruisca.

Poi ci sono le «tre torri» di uffici che stanno sorgendo là dove un tempo c’era la vecchia Fiera Campionaria. Le hanno progettate (così come le attigue residenze) tre famosi architetti. Solo una è terminata, quella di Isozaki, ed è dunque strano che un bel po’ di lettori del Corriere abbia votato quella di Zaha Hadid di cui si vede solo lo scheletro o quella di Daniel Libeskind che è alle fondamenta. Forse è uno slancio speranzoso verso il futuro, l’augurio che la Milano che ha saputo dare il meglio di sé con l’Expo possa continuare su questa strada. Non posso però evitare di osservare che le prime due torri ospitano (e lo mostrano con scritte evidentissime) gli uffici di due compagnia assicurative (una terza si trova in un grande palazzo lì vicino): non è che si spera nel futuro a patto di esserci preventivamente protetti dai corrispondenti rischi?

Io ho votato la Torre Velasca perché è il più milanese dei grattacieli in gara. Me lo spiegò un architetto che insegnava nella mia stessa scuola tanti anni fa. Era stato allievo di Ernesto Rogers, uno dei quattro firmatari del progetto, e mi disse: «Il Pirelli (come tutti gli altri grattacieli in gara in questo sondaggio) tu puoi prenderlo e metterlo in qualsiasi altra città e ci starebbe bene. La Torre Velasca no. Non vedi come la sua forma riprende le mura merlate del castello Sforzesco?».  

Io non ci avevo fatto caso, ma da allora questo edificio mi è diventato simpatico. Mi parla di una città orgogliosa della propria (come ogni altra città) particolare identità (da Ambrogio al boom industriale passando attraverso Carlo Borromeo e il Parini), aperta al futuro cosmopolita ma non dimentica della storia.

Un suggerimento al Corriere per un prossimo sondaggio: dare un occhio ai quartieri periferici di Milano, dove viviamo quotidianamente noi che un appartamento in grattacieli o residenze attigue non possiamo neanche sognarcelo