Questa settimana ci sarà l’investitura a Premier più strana che si sia mai vista da quando in Spagna è tornata la democrazia. Il candidato è Pedro Sanchez, Segretario generale dei socialisti. Guida la seconda forza uscita dalle urne il 20 dicembre. Sa che non ha i voti necessari a governare. Rajoy, il leader che ha vinto le elezioni, ha declinato l’offerta del Re e ha perso l’occasione. Il patto del Psoe con Ciudadanos ha trasformato il Pp in un partito di opposizione, gli ha fatto perdere il centro e lo ha fatto diventare una formazione del No. Essere partito del No in qualsiasi ambito della vita è sconveniente, ma in politica di solito comporta uno svantaggio notevole.

Il patto tra Psoe e Ciudadanos non garantisce i numeri per governare, ma ha il grande merito di aver lasciato Podemos fuori dai giochi e di aver portato Sanchez verso l’area moderata. Tuttavia è stato creato in un modo che rende impossibile che entri a farvi parte anche il Pp. E ha una sua logica il fatto che il partito più votato non faciliti un Governo formato dal secondo e dal quarto. 

Sono passati tre mesi dalle elezioni, un tempo che a molti di noi sembra eccessivo, ma che in realtà è breve per adattarsi a un nuovo sistema di partiti. Perché è questo quel che è avvenuto: una mutazione del sistema di rappresentanza. Il dibattito e il voto di questa settimana è solamente un primo round (serve la maggioranza assoluta). Quello che conta è il secondo (a maggioranza semplice) e speriamo che non ce ne sia un terzo. Il rischio è sempre quello di nuove elezioni a fine giugno.

Tutti siamo lenti a imparare. Speriamo che di fronte alla seconda votazione Pp, Psoe e Ciudadanos capiscano che nel nuovo contesto la politica dell’esclusione reciproca non porta da nessuna parte. Ciudadanos, che è una formazione nuova, ce l’ha nel suo DNA. Il Psoe dovrà dimenticarsi del suo “cordone sanitario” contro il Pp. Il quale a sua volta dovrà fare a meno del sogno di un’egemonia, fonte di prepotenza, come quella che ha avuto dal 2011 al 2015, con un controllo quasi assoluto delle istituzioni.

È bene che tutti smettano quanto prima di danneggiarsi. È il momento per voltare pagina o “move on”, come dicono gli anglosassoni. E questo vuol dire sicuramente cambiare le persone, ma soprattutto atteggiamento. Per tre ragioni.

1) Gli spagnoli non vogliono veti. Alcuni sondaggi indicano che il 50% degli elettori del centrodestra vedrebbe bene un’astensione del Pp per facilitare il Governo di Sanchez. Il Pp ha criticato fortemente il patto tra Psoe e Ciudadanos, i cui contenuti avrebbero potuto essere migliori e con aspetti che sono correggibili (come l’attacco agli accordi Stato-Chiesa e la questione del lavoro). Tuttavia come gesto e nella sostanza dei contenuti (razionalità economica e conservazione dell’unità nazionale) sarebbe potuto anche essere firmato dal Pp. Non comporta, infatti, la certa cancellazione delle sue riforme. In ogni caso usare toni accesi può essere controproducente.

2) L’Europa richiederà più riforme e controllo della spesa. Il caso della Grecia ci fa capire chiaramente chi decide le politiche economiche, specialmente dei paesi del sud Europa: Bruxelles. Il report della Commissione europea di settimana scorsa sulla Spagna è molto chiaro: la crescita del 3% del Pil non permette grandi festeggiamenti, dato che la crescita globale rallenta, la disoccupazione è ancora elevata e l’esclusione sociale è un grosso problema. Nel 2015 è stato concesso un nuovo sforamento riguardo l’obiettivo del deficit (al 5% circa). Ora Bruxelles sarà inflessibile, dato che quello passato era un anno elettorale, e prima o poi chiederà una riduzione di questo squilibrio. La Spagna non è la Germania. E chi sarà al Governo non potrà né abbassare le tasse, né far crescere la spesa. Su questo capitolo non c’è fortunatamente molto margine per gli esperimenti.

3) L’altro è un bene, anche in politica. Le cose migliori nella storia recente della Spagna sono nate da questa evidenza. E nel sistema-Paese c’è un desiderio di riconoscersi senza essere permanentemente in conflitto a causa dell’agenda dei politici. 

Forse quest’ultima questione è la più importante per la presenza pubblica dei cristiani. Le evidenze di ciò che in passato si chiamava legge naturale sono state distrutte e di conseguenza certi stili di vita di prima oggi sono possibili solo per grazia. Il rispetto per la libertà del resto non può esigere che il diritto mantenga in vita quel che la ragione non riconosce più. Non sembra nemmeno conveniente rivendicare certe libertà in base a una sorta di quota che si ha. Ma esercitarle sì, così da rendere possibile un’esperienza intensa di positività che, in termini civili, si traduca in un abbraccio a ciò che è diverso.